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Angel Moya Garcia da Firenze

Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Nel mio caso i cambiamenti sono stati legati fondamentalmente allo spazio concreto di lavoro, con tutte le conseguenze che esso ha comportato. Mentre prima lo spartiacque tra vita privata e vita professionale veniva segnato dalla distinzione più o meno netta tra ufficio e casa, adesso entrambi gli aspetti sono completamente intrecciati senza soluzione di continuità. Sicuramente il lavoro è stato meno lineare rispetto alla “normalità”, ma ho potuto da un lato avere più tempo da dedicare alla mia famiglia, dall’altro diventare più produttivo, accelerando i tempi, nei momenti che potevo dedicare al lavoro. Fino a prima dell’emergenza, utilizzavo le videochiamate solo ed esclusivamente quando era impossibile incontrare una persona, sia per motivi di tempistiche sia, soprattutto, per lontananza, in questi mesi invece è diventata componente quasi esclusiva delle ore di lavoro.

Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’“assenza” e della “mancanza”.
Credo che, a prescindere delle cause, siano fondamentalmente i piccoli dettagli quotidiani che diamo per scontati e che fanno parte integrante del nostro modo di vivere e di relazionarsi, che vengono a mancare. Dalle passeggiate nel parco ai giri in bici, dal caffè in un bar alla lettura del giornale cartaceo in un luogo pubblico, dalla possibilità di prendere un treno o un aereo per incontrare un artista nel suo studio al sopralluogo fisico in uno spazio concreto per capire le sue caratteristiche, dalle riunioni in cui il linguaggio non verbale è imprescindibile nel suo svolgimento alla possibilità di assistere all’inaugurazione di una mostra, confrontandoci con amici e colleghi con un buon bicchiere di vino in mano.

Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le tue “strategie” per instaurare nuove relazioni? 
Come ho accennato in altri contesti, in questi ultimi mesi abbiamo assistito e continuiamo ad assistere a una bulimia di attività culturali in streaming e credo spetti a ognuno di noi accettare o meno il rischio che queste possano diventare mero intrattenimento culturale o che possano essere utilizzate soltanto in modo consolatorio da parte del pubblico. Lo stesso vale per i rapporti virtuali nei social network a cui ormai siamo abituati e anche assuefatti.
In entrambi i casi, dubito che reale e virtuale debbano andare in contrasto, anzi, sono convinto che siano piani paralleli di comunicazione interpersonale, che si sostengono reciprocamente, ma ognuno con specificità proprie. Proprio per questo credo che uno non possa sostituire l’altro. Una mostra, uno spettacolo o un concerto pensati per la fruizione dal vivo non possono essere semplicemente trasferiti sul virtuale e ottenere la stessa incisività, così come non avrebbe proprio senso trasferire interventi pensati per il web a una realtà fisica senza adattamenti concreti e senza compromessi.
Personalmente ad oggi non ho “strategie” per instaurare nuove relazioni perché prima devo capire come far finire mentalmente questa sospensione, come attuare praticamente i decreti e le nuove regole senza depotenziare i progetti e come approfittare di tutto questo in modo da transformarlo in stimolo per ripensare il futuro immediato.

Angel Moya Garcia (Cordoba, 1980) è laureato in Storia dell’Arte presso l’Università di Cordoba. È co-direttore per le arti visive della Tenuta dello Scompiglio a Lucca e socio di ICOM Italia – International Council of Museums, dell’IKT – International Association of Curators of Contemporary Art e dell’IAC – Istituto di Arte Contemporanea in Spagna. Da oltre dieci anni la sua ricerca si focalizza sulla performance e sul concetto di identità all’interno della collettività. Da marzo 2020 è responsabile della programmazione culturale e del coordinamento degli eventi del Mattatoio di Roma. www.mattatoioroma.it
www.delloscompiglio.org