«Il tempo rarefatto nelle opere di Andrew Smaldone proviene dall’osservazione dell’architettura e da un processo di estrazione simile. Lo spazio genera immagini legate a un ricordo dell’artista in cui l’arte, come pratica, come formazione, come percezione, ha occupato quelle stanze: una scuola d’arte a Londra, una galleria non profit in Italia. Nel momento in cui vengono ritratte, dismessa la funzione originaria, le architetture di Andrew rivelano di conservare una memoria dormiente della loro storia, di quello che hanno accolto. Si tratta di qualcosa che, come nelle visioni dei personaggi di Resnais, non si è indurita in una forma definitiva, ma continua a trasformarsi, si mantiene plastica e modificabile da parte di chi torna a sollevare il sipario per lasciar passare la luce.
Sensibilmente è proprio la luce (più persistente degli odori e dei sapori, più pervasiva di qualsiasi altro fattore nello scatenare la reminiscenza) a veicolare la memoria: il suo depositarsi sulle superfici, il suo attenuarsi, il suo creare, assieme all’ombra, un mondo riflesso, più intenso, fragile, più profondo del mondo materiale».
Dal testo “L’anno scorso da un’altra parte” di Pietro Gaglianò