Un rap degli addii.
Nave, aereo, bambina che grida e saluta, forse piccolo principe, forse barone rosso, bicicletta, scarpa, caffettiera, ragazzina cattiva, lupo feroce, automobile, facce assai brut, aquila, covo, corvo, cornacchia; precipito nel baratro di una filastrocca sillabata da immagini, paratattica, inventariale, molto contemporanea, da Tàpies a Cucchi passando per Pozzati e per i graffi di Luzzati, molto antica, dagli xenia dipinti o in mosaico dei nostri avi latini passando per naturamortisti sovrabbondanti o magri da Boselli a Levoli a De Pisis.
Come in un gioco dell’oca ogni foglio disegnato-dipinto di Spazzoli, pulito nell’anima anzi innocente ma sporco di pittura sporca, compromessa, inquinata, ogni foglio dicevo di queste serie interminate di varianti e permanenze, di questa carta da pacchi povera che si imbelletta e si mostra una volta con la faccia da intonaco, talaltra nuda elegante monacale, ogni foglio è pagina di un libro infinito, stregato, di un calendario di spessori sottili che si sfaldano, turbati dall’alito del vivere, smossi dai contorni incerti delle proprie stesse figure, che vagano increspate, allibite, iraconde, ma ordinate, ritmiche, classiche, in fondo pur sempre italiane, a raccontare che c’era due volte, anzi tre, anzi quattro… Tratto dal testo critico di Eleonora Frattarolo
Volume realizzato in occasione della mostra “Vanni Spazzoli. Magazzino dei ricordi”: 12 novembre 2011 – 10 gennaio 2012 | L’Ariete artecontemporanea, Bologna