A Casa Tutti Bene. Lo sappiamo che per molti oggi non è così. C’è chi ha bisogno di più “rumore” attorno e chi, invece, di molto più silenzio rispetto a prima.
A Casa Tutti Bene è come una radio da lasciare accesa quando ne abbiamo voglia, da alzare a tutto volume se ci và, da abbassare o silenziare del tutto quando vogliamo stare da soli.
A Casa Tutti Bene non è, quindi, IL progetto di questa quarantena ma UN progetto, IL NOSTRO, unico perché composto da una “teoria” di artisti, uomini e donne di cultura che hanno scelto di condividere con noi il loro tempo, oggi, così dilatato e così compresso. Grazie.
In collaborazione con Espoarte.
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Rocco Guglielmo da Catanzaro
Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Da quando è iniziato questo terribile periodo, per timore che tutto si sarebbe fermato di colpo, ho cominciato a lavorare più intensamente, anticipando scadenze, approfondendo nel corso della giornata tutte le notizie utili per il mio lavoro, ho affrontato questo primo periodo come se, da un giorno all’altro, sarebbe arrivata l’estate e con questa le ferie. Con la successiva chiusura dei musei, dei parchi e di ogni altro luogo di incontro, mentre decine di milioni di persone rimanevano confinate nelle loro case, mi sono ritrovato a trascorrere le giornate nel mio studio a lavorare, fortunatamente sottolineo, condividendo lezioni online, partecipando a videoconferenze via Skype, relazionando in convegni tramite Zoom e svolgendo esami collegato con MEET; ma con il passare dei giorni ho realizzato che non era affatto l’estate ad avvicinarsi e una strana sensazione ha cominciato ad invadere le mie giornate: la paura di essere contagiato, il timore di perdere qualcuno dei miei cari, la preoccupazione per le figlie lontane e l’impellenza di mettere in sicurezza il mio studio e i miei collaboratori. Adesso, trascorsi quasi due mesi, sto cominciando a focalizzare di più la mia attenzione su come programmare il futuro, su come realizzare i progetti lasciati appesi, cercando di mantenere sia a lavoro che a casa una certa normalità e reagendo per superare e affrontare al meglio gli effetti che la distanza sociale e i vincoli imposti dall’isolamento producono nel tempo. Ho scoperto una nuova dimensione della mia vita, sperimentando gesti che non avevo sperimentato prima e coltivando passioni che avevo trascurato e mi sorprendo del fatto di non essere più tanto angosciato per questa situazione.
Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
Siamo entrati in freddi obitori, abbiamo percorso affollatissimi corridoi di ospedali, abbiamo visto cimiteri saturi e scuole vuote, abbiamo visitato i musei di tutto il mondo, siti archeologici, partecipato a tour virtuali, grazie a chi è andato alla ricerca di storie per raccontare al mondo quello che sta accadendo; immagini quasi sempre accompagnate da voci di reporter e di guide confortanti; ci siamo riuniti creando emozionanti mosaici musicali fatti da artisti, cantanti, attori, politici, religiosi… di persone, i cui ritmi coinvolgenti coprono il silenzio desolante ed alleviano la negatività di questi giorni… Un lavoro ciclopico è stato fatto e ora stiamo per ripartire dal punto in cui ci eravamo lasciati. Adesso immagino un mondo che, raccolti i pezzi di ciò che è rimasto prima del tempo della pandemia, li unisca a quanto di meglio è stato fatto in questo periodo, per creare una nuova strada che porti ad un futuro più giusto. Da un mondo tanto “legato e collegato” mi aspetto una reazione corale, compatta che punti alla tutela della Terra e ad un’umanità migliore.
Stiamo capendo che si può vivere con meno mobilità?
Abbiamo imparato a vivere in spazi più piccoli e con meno mobilità e ci siamo riusciti anche grazie alla virtualità; quando tutto finirà sarà molto difficile dimenticare quanto il digitale si sia insinuato e sia esploso contaminando il nostro mondo: dal lavoro, alla vita quotidiana, dalla scuola, all’arte. Quando tutto finirà questa invasione informatica purtroppo sarà già normalità.
Rocco Guglielmo, classe 1963, laureato in Giurisprudenza nel 1985, dal 1992 svolge la professione di notaio in Catanzaro. Molteplici gli incarichi rivestiti, anche su mandato di Enti Pubblici, nonché in ambito universitario.
Autore di numerosi articoli in materia giuridica pubblicati sulle più prestigiose riviste di settore. Presidente del Consiglio notarile di Catanzaro, Crotone, Lamezia Terme e Vibo Valentia, Presidente del Comitato Notarile della Calabria, Presidente della Fondazione Rocco Guglielmo, Membro del Comitato scientifico del Museo Civico di Taverna e dell’Archivio Emilio Scanavino; è stato inoltre Presidente della Fondazione Mimmo Rotella e Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Catanzaro.
È dal 2015 Direttore Artistico del MARCA (Museo delle Arti di Catanzaro); numerosi i progetti realizzati dalla sua fondazione (www.fondazioneroccoguglielmo.it). Tra quelli appena conclusi: Terra! di Bertozzi & Casoni; da segnalare le collettive: La Costante Cosmologica nel 2011, Lo Sguardo Espanso nel 2012, Artisti nello spazio nel 2013, e le personali di Alberto Biasi nel 2015, Giosetta Fioroni nel 2016, Turi Simeti e di Pino Pinelli nel 2017. Attualmente in mostra al MARCA (www.museomarca.info): la personale di Massimiliano Pelletti Looking forward to the past e Memoria di un giardino della giovane artista Maria Luigia Gioffrè.
Mag31
Federico Giannini da Carrara
La tua nuova ritualità quotidiana… Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Se penso al lavoro nel suo manifestarsi concreto, in realtà non è cambiato molto rispetto a prima: facendo il giornalista e cercando di limitare la mondanità allo stretto necessario, passo normalmente la quasi totalità della mia giornata a leggere e a scrivere, e questa formula non ha subito pesanti variazioni durante le settimane del confinamento. Solo, seguendo i consigli forniti dagli psicologi, ho cercato di scandire in modo molto più preciso, regolare e rigoroso le giornate, con qualche minima variazione per evitare il ripetersi troppo ossessivo della routine: una prassi che mi riesce difficile seguire in condizioni di piena normalità. Se penso invece ai fondamentali del mio lavoro, è mancata la dimensione della conoscenza dal vivo che si sostanzia nelle relazioni sociali, nella visita alle mostre e ai musei, nella partecipazione agli eventi. L’ho colmata aumentando un altro dei fondamentali d’un giornalista: la lettura.
Con quali oggetti e spazi del tuo quotidiano stai interagendo di più?
Un oggetto: i libri. Di carta e in formato digitale, recenti e antichi, per evasione e per lavoro, classici e titoli poco noti, buoni e pessimi, acquistati di recente e in casa da anni in attesa d’esser letti: sono stati una presenza costante e viva. Credo che il confinamento non ci abbia fatto mancare occasioni di conoscenza, e trovo peraltro encomiabile l’impegno che molti, nel nostro settore, hanno profuso per farci arrivare ogni giorno nuovi contenuti, nuovi spunti, nuove riflessioni. Uno spazio: il vicinato. Nella mia regione, al di là degli spostamenti consentiti per i noti motivi di necessità, era permesso uscire per fare attività fisica solo nelle ormai famigerate “prossimità dell’abitazione”. Ho dunque “interagito” molto col mio quartiere, che in realtà non fa parte del mio normale quotidiano, dacché lo frequento molto poco. In sostanza, il quotidiano che mi circonda è diventato la mia nuova quotidianità.
Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell'”assenza” e della “mancanza”.
La mancanza è una percezione, l’assenza è la modalità e lo spazio in cui la mancanza agisce. Sono valori da connotare positivamente, ce lo ha insegnato molta arte del Novecento, da Agnetti e Christo in poi. Mancanza è, in altri termini, far notare la presenza di ciò che è assente. È chiaro che la strettissima circoscrizione delle nostre libertà per ragioni di ordine sanitario abbia portato tutti noi a farci avvertire la mancanza di quelle libertà che davamo per scontate. Penso però che questa mancanza sia servita per affermare il valore di quelle libertà. Spero dunque che saremo più consapevoli della loro importanza.
Quale deve essere il ruolo dell’editoria in un momento storico come quello attuale? Un magazine o una piattaforma di informazione specialistica, quali sfide può concorrere ad affrontare?
Penso che questo momento storico abbia sottolineato la necessità di una nuova opinione pubblica che torni a esser fondata sull’intermediazione. L’opinione pubblica, per come la conoscevamo, è stata messa in crisi dai cambiamenti che i mezzi di comunicazione hanno subito negli ultimi anni: gli eventi delle ultime settimane hanno però evidenziato, secondo me in maniera piuttosto chiara, l’insussistenza di un modello basato sull’assoluta equivalenza delle opinioni, e quindi diviso, particellare, incapace d’esercitare pressioni anche minime (e, di conseguenza, neppure più riassumibile sotto il concetto di “opinione pubblica”). Alla stampa, all’editoria si sta presentando un’occasione forse irripetibile per affermare la propria autorevolezza. Siamo dunque chiamati alla prova della responsabilità: e questo vale per tutta l’informazione, generalista e specialistica. Dobbiamo riconquistarci la fiducia del pubblico. E in questo noi, le testate di settore, partiamo con un punto di vantaggio: dobbiamo esserne consci e fare quello che abbiamo sempre fatto, ovvero lavorare sapendo che il nostro pubblico è, intanto, il nostro bene più prezioso, e in secondo luogo che un’informazione corretta, chiara, libera e rigorosa è il mezzo più efficace per avere il pubblico dalla nostra parte. Sembra scontato affermarlo, ma l’esperienza non sempre ci ha confortato. E poi, l’informazione specialistica deve immaginarsi come la tessera di quel mosaico che è il nostro mondo interconnesso e dove non possiamo più prenderci il lusso di pensare come se vivessimo dentro compartimenti stagni.
Quando tutto questo finirà: una cosa da fare e una da non fare mai più.
Ragionare sul cosa continuare a fare e sul cosa non fare mai più in termini generali significa ragionare sulle utopie, ma del resto il genere umano progredisce cercando utopie, e le utopie, piccole o grandi che siano, vicine o lontane, sono luoghi che riempiono di senso le nostre vite (o almeno per me è così). Quello che non dovremo fare più è perseverare nel nostro disinteresse per la cosa pubblica. Credo che la situazione che abbiamo vissuto ci abbia dimostrato a sufficienza come ogni nostra singola scelta abbia un peso per la vita nostra e per quella degli altri. Non so se il fatto che tutti siano stati così partecipi e interessati ad approfondire, a conoscere, a informarsi, derivi davvero da una presa di coscienza collettiva o sia più semplicemente perché quanto abbiamo vissuto ha sconvolto il nostro vivere quotidiano. Penso che però gli ultimi eventi abbiano sottolineato il fatto che ci sia un potenziale. Di rimando, quello che invece dovremo fare è acquisire una più profonda consapevolezza di noi stessi, agendo nel nostro quotidiano in tutti i modi per essere cittadini liberi.
Federico Giannini, nato nel 1986, laureato in Informatica Umanistica all’Università di Pisa nel 2010, vive a Carrara. Giornalista, è fondatore e direttore responsabile della testata Finestre sull’Arte, una rivista dalla doppia anima (cartacea e online), interamente votata all’arte, antica e contemporanea, e all’attualità dei beni culturali. Collabora da anni con Art e Dossier e con Left.
Mag30
Gianni E.A. Marussi da Milano
Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Prima le giornate prevedevano conferenze stampa, anteprime delle mostre e molte inaugurazioni delle gallerie private, nel pomeriggio. Ora si possono fare interviste solo via rete e la mancanza del contatto fisico le rende più difficili, quasi innaturali, oltre ai vincoli che la tecnologia impone.
Molti incontri sono proposti su Istagram, ma le connessioni non sono fluide e le immagini con i commenti non sono stimolanti. Lo stesso vale per la proposta delle mostre virtuali. Le opere sono digitali, come virtuale è lo spazio che le “ospita”.
L’opera d’arte necessita di una comunione, di un pathos che si manifesta guardandola, toccandola come nel caso delle sculture. Si sviluppa nello spazio, nell’ambiente che le ospita. In questa sosta obbligata, si può riflettere, studiare, organizzare gli archivi e pubblicare ciò che era rimasto in sospeso per mancanza di tempo.
I musei civici milanesi, con la prossima riapertura, riproporranno le mostre che erano in corso, con accessi su prenotazione, spazi controllati di accesso e percorrenza, e quindi un numero contingentato di presenze. Le conferenze stampa saranno ancora possibili? E con quali modalità? Come reagirà il pubblico?
Per proporre nuove esposizioni ci vorrà del tempo e bisogna trovare i finanziamenti e i prestatori d’opere. Per mettere in calendario una mostra ci vogliono almeno due anni di preparazione e, come mi diceva il dott. Piraina, per coprire un costo di un milione di euro, bisogna contare su almeno 80.000 biglietti venduti.
Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’“assenza” e della “mancanza”.
Per noi italiani che siamo abituati a socializzare la reclusione diventa una mancanza profonda di vita. Uscendo, l’altro è una potenziale minaccia, non un tuo simile da abbracciare o con cui ha voglia di scambiare pensieri e parole. I contatti telefonici e video sono assoggettati a questa impotenza. Ricordano le comunicazioni che avvengono tra la base e gli astronauti. A tutto ciò siamo impreparati.
Per non parlare della rivoluzione nei rapporti familiari, complicati da una frequentazione obbligata giornaliera, nei medesimi spazi, con i figli bloccati a casa, senza vedere amici, a studiare, connessi con computer o tablet con i propri insegnanti.
In più anche il rapporto con se stessi cambia, non distratto dalla operosità esterna. Ma quanti hanno normalmente tanto tempo da dedicare a se stessi, usciti dal frenetico vortice del fare?
Per certi versi è come risvegliarsi da una notte d’incubi per ritrovarsi in uno, reale, assai peggiore. Non hai punti di riferimento, storici o culturali, che al di là della dotta citazione, siano paragonabili a quanto ci troviamo ad affrontare, a livello mondiale.
Quale deve essere il ruolo dell’editoria in un momento storico come quello attuale? Un magazine o una piattaforma di informazione specialistica, quali sfide può concorrere ad affrontare?
Il media che maggiormente può svolgere un compito informativo è quello della rete, con testi, immagini, video, disponibile ovunque. L’importante è la qualità. Sbagliato pensare che la rete sia solo uno strumento veloce o peggio didascalico. Ma è anche impossibile pensare a rinunciare all’editoria “classica”, che ha bisogno della carta per comunicarti emozioni, immagini, sottolineare testi…
Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
Questa esperienza, senza precedenti nella storia dell’umanità, modificherà tutto profondamente. La crisi economica sarà superiore a quella del 1929 con conseguenze inimmaginabili. L’arte non essendo un bene di prima necessità vivrà sicuramente una falcidie di spazi e di funzioni espositive. Credo che l’attuale offerta di mercato sia destinata a essere profondamente rivista a favore di opere rispecchianti valori e canoni etici. Alcuni segnali di com’è già cambiato il mercato delle opere d’arte possono rivelarlo la situazione fallimentare delle due case d’asta più importanti al mondo come Christie’s e Sotheby’s.
Il mondo poi, in questo stop totale di movimento, ha rivelato come la natura abbia ripreso i suoi spazi, regalandoci immagini di cieli, animali, piante, laghi, fiumi, mari… come forse non li avevamo mai visti. Da questo dovremmo e dobbiamo prendere insegnamento. La mobilità va sicuramente ripensata come il rispetto per l’ambiente e noi stessi. Penso che tutto ciò che è accaduto sia un segnale inequivocabile.
Gianni Ettore Andrea Marussi è nato a Milano nel 1951. Giornalista pubblicista dal 1973, dal 1973 al 1976, edita e dirige il mensile Le Arti, fondato nel 1950 da Garibaldo Marussi. Dal 1977 al 1978, consulente editoriale Dizionario delle Opere e dei Personaggi, Bompiani Editore. Dal 1979 nel Gruppo Fininvest; dal 1984 al 1986 coordina la produzione televisiva Bit, storie di computers, con Luciano De Crescenzo (Italia 1); crea e dirige il mensile d’informatica Mondo Bit. Dal 2009 al 2016 è responsabile di ARTDIRECTORY, TGCOM24. Dal 2017 editore e direttore Artdirectory-Marussi. Nel 2017 diventa membro del Comitato Scientifico della Triennale Fotografia Italiana. www.artdirectory-marussi.it
Mag29
Luigi Fassi da Nuoro
Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le sue “strategie” per instaurare nuove relazioni? Com’è cambiato il suo modo di lavorare?
Durante i mesi del lockdown si sono moltiplicate le iniziative digitali di musei ed istituzioni, con un’offerta abbondante la cui natura è ancora tutta da interpretare. Si è trattato di un fenomeno effimero dettato dalla necessità del momento o di un vero rivolgimento nelle modalità di costruzione e offerta dei contenuti? Marketing o produzione culturale? Anche il Museo MAN ha proposto diversi formati, dai workshop laboratoriali online per bambini, a cura delle nostre mediatrici, al progetto Diario della Quarantena, un contest per ragazzi e adulti che ha stimolato l’invio di creazioni artistiche dallo spazio domestico a quello dei social del MAN, premiando i più brillanti e capaci di cogliere lo spirito del momento. Con il progetto Connessioni Inventive abbiamo, poi, avviato, assieme all’ICA di Milano, una serie di lecture digitali con personalità italiane dal mondo della ricerca filosofica e culturale. È ora importante riflettere su quanti dei progetti digitali dei musei potranno segnare un cambiamento nelle prassi di lavoro istituzionale del prossimo futuro, lasciando così un impatto duraturo di sviluppo oltre l’emergenza Covid, e quanti sono destinati a svanire, derubricati alla necessità tattica di mantenere visibilità in un momento di chiusura sociale.
Il progetto Connessioni Inventive al MAN lo porteremo avanti proseguendolo anche dopo l’estate. Le ragioni? La sensazione netta che sia ora più vitale che mai collaborare a livello istituzionale, privilegiando la condivisione rispetto alla competizione, per unire le forze e far crescere l’ambizione delle idee e delle attività in campo. E con gli strumenti digitali possiamo portare a tutti dei contenuti senza difficoltà logistiche. Con Connessioni Inventive stiamo invitando a parlare ricercatori italiani residenti in varie parti del mondo e sarebbe impensabile, anche in una fase normale, invitarli nelle istituzioni per una lecture dal vivo di trenta minuti.
Dunque, credo che al di là della modalità dello home-working e del distanziamento fisico, i cambiamenti profondi nel modo di lavorare si assesteranno solo nel prossimo futuro e tra un anno potremo forse capire quali nuove dinamiche siano sorte e quale reale mutamento abbiano apportato. Conterà, come sempre, la disponibilità di ciascuno a guardare avanti piuttosto che indietro e nell’ambito dei musei pubblici, la loro capacità di pensarsi per davvero come istituzioni civiche, al servizio della propria comunità di riferimento. Motori di relazioni sociali, suscitatori di vocazioni e innovazioni, a vantaggio di quante più persone possibili e innanzitutto di chi nel territorio del museo stabilmente vive.
Stiamo capendo che si può vivere con meno mobilità? Come immagina il mondo, quando tutto ripartirà?
È un interrogativo aperto, l’aviazione civile per un periodo non breve potrebbe fare un passo indietro di almeno due decenni, in termini di aumento dei costi e offerta più limitata. Ci saranno non solo più prudenza e reticenza nell’affrontare lunghi spostamenti ma penso anche la sensazione che non fosse del tutto normale viaggiare tra continenti con meno di 100 euro. A livello istituzionale conteranno di più le relazioni consolidate e, come anticipavo, sono convinto (è anche un sincero auspicio) che la collaborazione acquisirà maggiore valore come arricchimento reciproco e forma di solidarietà. Quanto sta accadendo in questi mesi ha rivelato un dato che avevamo in parte oscurato, la fragilità come elemento costitutivo dell’umano e non come incidente da superare. Norberto Bobbio parlava di alcune emozioni emblematicamente umane, quali ad esempio la mitezza (a cui dedicò un saggio assai noto), rivelatrici di un’idea di vulnerabilità che va riconosciuta come essenziale e a tutti comune e che se compresa a fondo può mutare il modo di vivere le relazioni umane.
Luigi Fassi (Torino, 1977) è direttore artistico del museo MAN di Nuoro. Visual Art Curator presso lo Steirischer Herbst Festival di Graz, Austria, dal 2013 al 2017, dal 2009 al 2012 è stato direttore artistico del Kunstverein ar/ge kunst di Bolzano. Helena Rubinstein Curatorial Fellow al Whitney Museum ISP di New York nel 2008-09, ha organizzato mostre per diverse istituzioni internazionalmente, In Europa, Stati Uniti e Africa. Suoi articoli e testi sono apparsi su Mousse, Domus, Flash Art, Artforum, Camera Austria, Site. Dal 2010 al 2017 è stato curatore di Present Future ad Artissima, Torino. Nel 2016 è stato fellow dell’Artis Research Trip Programme a Tel Aviv, curatore del Festival Curated_by a Vienna e della XVI edizione della Quadriennale d’Arte di Roma. È membro del comitato direttivo di Artorama a Marsiglia e dal 2020 curatore del progetto Tomorrow/Todays presso Investec Cape Town Art Fair in Sud Africa. www.museoman.it
Mag29
Luca Bochicchio da Savona
Abbiamo a che fare con un tempo e uno spazio nuovi. Cosa stai scoprendo o riscoprendo di te?
Personalmente è stata (parlo al passato perché oggi scrivo in un momento di ritrovata libertà di movimento, pur con i disagi e le limitazioni che sappiamo) un’esperienza complicata. Come moltissimi altri ho vissuto un’altalena di stati d’animo contrastanti. Credo che se l’isolamento forzato fosse durato meno degli effettivi due mesi che abbiamo vissuto, probabilmente le mie resistenze, frutto di anni di vita intensa, a ritmi felici ma anche frenetici, non si sarebbero piegate. Invece è accaduto proprio questo, nel perdurare dell’isolamento mi sono riappropriato di zone d’ombra che avevo volentieri e colpevolmente nascosto nel profondo di me stesso. Credo che in quella serie apparentemente interminabile di giorni tutti uguali, io abbia elaborato sentimenti e situazioni che nell’isolamento forzato emergevano. È presto per dare un giudizio sugli esiti di questo processo, ma sono grato di averlo vissuto.
Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’“assenza” e della “mancanza”.
Mi manca la libertà di movimento, moltissimo, e la libertà di incontrarsi.
Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le tue “strategie” per instaurare nuove relazioni?
Quei musei che potevano già contare su un solido e ben strutturato sistema di comunicazione proprio hanno senz’altro potuto implementare la divulgazione di contenuti online e l’interazione con i propri pubblici, ottenendo un outreach più efficace. Il museo che dirigo, il MuDA Museo Diffuso di Albissola Marina, non possiede ancora (ci stavamo lavorando proprio quando è scattato il blocco) una comunicazione autosufficiente, ciononostante abbiamo ritenuto di doverci muovere nei confronti del pubblico attraverso gli unici canali che avevamo a disposizione: i social network. Ci siamo quindi attivati per realizzare dei video (dal documentario breve ai virtual-tour, alle videointerviste) che abbiamo condiviso sul canale Youtube del MuDA e sui social (Instagram e Facebook, dove dal canale di Casa Museo Jorn abbiamo mantenuto attiva l’interazione). A livello di rete, per noi ha funzionato bene l’attivazione di dirette e invasioni digitali connesse al grande reame delle città e dei musei della ceramica italiani; eventi come Buongiornoceramica hanno davvero mantenuto vivo il rapporto tra le comunità sparse in tutta Italia. Al di là di questo abbiamo utilizzato il tempo del blocco per lavorare sulle criticità strutturali del nostro museo e per ripensare il rapporto con i nostri pubblici (che la chiusura degli spazi ha drammaticamente compromesso, essendo basato su una regolare affluenza e frequentazione). Inoltre, abbiamo lavorato con gli altri musei del territorio per condividere informazioni e buone pratiche per affrontare la riapertura.
Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
Immagino che nelle maglie della nostra corsa quotidiana alla consumazione della Terra e delle risorse (apparentemente inarrestabile anche di fronte a pandemie come questa), emergeranno micro-processi positivi, frutto della maturazione di nuove consapevolezze, ma questo avviene normalmente nella storia ed è la grandezza dell’essere umano, quando si esprime collettivamente attraverso solidarietà e cura. Altri effetti positivi si potrebbero riverberare nell’attenzione civile a temi fondamentali (e per decenni vessati in Italia), come sanità e istruzione pubblica (anche se al momento stiamo assistendo al contrario, penso all’assenza di soluzioni e risposte su scuola e università). La cultura dei musei e dei centri storici, per anni assoggettata al turismo di massa, si troverà nella necessità di essere ripensata (per fortuna). Oggi si sente parlare poi di turismo di prossimità, di eco-sostenibilità, e sappiamo bene come queste e altre buone pratiche siano state promosse, incoraggiate e invocate da diversi settori della società civile fin dall’inizio della globalizzazione. Credo dunque che le persone con responsabilità di governo dovrebbero avere il coraggio di aprire a queste comunità e condividere pratiche di lavoro dal basso. Molti faranno tesoro di quanto capito durante il blocco e proveranno ad aggiustare qualcosa nella propria vita. Per il resto, io credo che assisteremo a estremizzazioni del conflitto sociale. Poi immagino un mondo in cui Covid-19 sarà il ricordo della prima di molte altre crisi globali. Bisognerà essere forti e vigilare.
Stiamo capendo che si può vivere con meno mobilità?
Succede spesso nella storia che fasi di crisi profonde impongano di esplorare non tanto “nuove” modalità di convivenza e comunicazione, quanto piuttosto esaustive pratiche di connessione che sfruttino finalmente al 100% le potenzialità di mezzi già esistenti ma sottostimati prima della crisi. Penso a tools ben noti da tempo, ma mai utilizzati come oggi: le riunioni telematiche, le dirette streaming, la combinazione virtuosa di diverse piattaforme social e di condivisione. Come giustificheremo da domani tutti i piccoli e grandi spostamenti (con tutto ciò che comportano in termini di inquinamento, impiego di risorse personali e collettive, stress e frenesia, sovrapposizioni e incompatibilità, difficoltà a raggiungere fisicamente certi luoghi) che in realtà abbiamo sperimentato poter essere agevolmente sostituiti da incontri in remoto? Per alcune attività, comprese, anzi a partire da quelle ludiche e a certe professioni, viaggiare è fondamentale, e dovremo lottare (non è retorica, attenzione a non darlo per scontato) per il diritto alla libertà di spostamento nei tempi e nei luoghi che decidiamo noi; ma questa crisi toglie in parte il velo: siamo stati per anni dei sapiens che utilizzavano certi strumenti con la mentalità da erectus. Intendiamoci: per una larga parte della società quegli spostamenti che prima ho classificato come dispendiosi sono fondamentali per alimentare la catena economica, ma è proprio qui che sta l’errore di sistema. Questa crisi ha imposto un’accelerazione al processo collettivo di adattamento agli strumenti digitali (che già esistevano, e che adesso si affinano, migliorano, sotto la spinta di una rinnovata e allargata domanda), dimostrando come buona parte delle nostre abitudini si basi su convenzioni create e indotte dal sistema capitalista e consumista. Per le famiglie e i lavoratori che non vi avevano mai fatto troppo caso, oggi sembra più conveniente avere una buona rete di connessione dati che non un abbonamento tv, è banale ma ricordiamoci che i cambiamenti epocali non avvengono mai seguendo il calendario dei decenni e dei secoli, e come già accaduto in passato è possibile che nel 2020 inizi davvero il XXI secolo.
Luca Bochicchio, PhD, è direttore scientifico del MuDA Museo Diffuso Albisola e di Casa Museo Jorn. È docente di Comunicazione dei Beni Culturali all’Università di Genova e autore di numerosi saggi in riviste e cataloghi. Nel 2016 ha pubblicato per Mimesis la monografia Scultura e memoria: Leoncillo, i Caduti e i Sopravvissuti. Ha curato o co-curato mostre su Luigi Pericle (2019); Salvatore Arancio (2019); Lucio Fontana (2018); Anders H. Ruhwald (2018); Enrico Baj (2015; 2017) e Asger Jorn (2014), e ha collaborato con Mamco (Ginevra), Cobra Museum (Amsterdam), Hauser&Wirth (New York), Gmurzynska (Zurigo), MiC (Faenza) e Officine Saffi (Milano). Recentemente è stato visiting researcher all’Henry Moore Institute (Leeds) e alla Beinecke Rare Book and Manuscript Library (Yale University).
Giu01