• Chi siamo
  • NEWSLETTER
  • Press
  • Rassegna
  • AIUTO (FAQ)
Login / Registrati
LA MIA WISHLIST
Vanillaedizioni

La casa editrice dedicata al mondo dell'arte e della cultura

0 Articoli
€ 0 00

Carrelllo

Vedi Carrello Il carrello è vuoto
  • Nessun prodotto nel carrello
  • HOME
  • SHOP
  • SERVIZI
  • VOLUMI
  • EBOOK
  • COLLANE
    • the painter’s room
    • PageNotFound
    • Vanilla Pocket
    • YAB
  • CROWDFUNDING
  • NEWS
    • #acasatuttibene
    • Eventi
    • Volumi
    • Ebook
    • Crowdfunding
    • Promo
  • CONTATTI
Torna in alto ↑

Home | Archivio per la categoria "#acasatuttibene" (Pagina 4)

A Casa Tutti Bene. Lo sappiamo che per molti oggi non è così. C’è chi ha bisogno di più “rumore” attorno e chi, invece, di molto più silenzio rispetto a prima.
A Casa Tutti Bene è come una radio da lasciare accesa quando ne abbiamo voglia, da alzare a tutto volume se ci và, da abbassare o silenziare del tutto quando vogliamo stare da soli.
A Casa Tutti Bene non è, quindi, IL progetto di questa quarantena ma UN progetto, IL NOSTRO, unico perché composto da una “teoria” di artisti, uomini e donne di cultura che hanno scelto di condividere con noi il loro tempo, oggi, così dilatato e così compresso. Grazie.

In collaborazione con Espoarte.

ARCHIVIO CATEGORIA: #acasatuttibene

Giu06

Annalisa Ferraro

#acasatuttibene. Annalisa Ferraro: scoprire la propria capacità di autoassovilmento

Annalisa Ferraro da Napoli

Con quali oggetti e spazi del suo quotidiano stai interagendo di più?
Nella mia nuova casa a Napoli, in cui mi sono trasferita circa un anno prima della quarantena, non avevo mai trovato le giuste condizioni per lavorare nel mio piccolo studio, stanza che avevo fortemente voluto, ritenuta da me indispensabile per affrontare impegni e scadenze professionali. Durante la quarantena, invece, la mia scrivania, la lampada dalla luce soffusa, la postazione pc, sono diventati il mio spazio sicuro, il luogo in cui rifugiarmi per credere che la normalità, la mia routine, le mie abitudini fossero salde e sicure almeno lì. Più che una stanza dell’illusione, mi piace definirla la mia stanza della speranza, l’àncora a cui mi sono aggrappata quando tutto sembrava spaventosamente immobile e silenzioso, alterato nel profondo. Devo dire che però anche qualche sana, divertente e competitiva partita alla x-box mi è servita da carica per superare infinite giornate sempre uguali a se stesse.

Abbiamo a che fare con un tempo e uno spazio nuovi. Cosa stai scoprendo o riscoprendo di te?
La forza, la tenacia, l’entusiasmo, ma anche la capacità dell’autoassolvimento. Ho sempre pensato di essere una persona troppo sensibile per essere veramente forte, troppo perfezionista per essere davvero sicura di me e dei risultati raggiunti, troppo ambiziosa per potermi dare una tregua. Eppure, questa pausa forzata, per me come per tanti altri, si è rivelata un buon momento per conoscersi di nuovo, per approfondire cambiamenti che avevo consciamente o inconsciamente attraversato ma che non avevo mai avuto il tempo di esaminare. Ho scoperto quindi la capacità di autoassovilmento, perché tanti dei buoni propositi della quarantena non sono riuscita a rispettarli. Mi sono sforzata di perdonarmi, perché ho capito quanto fosse importante imparare a rispettare il proprio corpo ma forse ancora di più la propria mente. In un periodo così vuoto eppure così pieno e pesante, ho capito che darmi obblighi, caricarmi di impegni, prefissarmi dei risultati da raggiungere non mi avrebbe dato tempo e modo di capire ciò che stava accadendo attorno a me, ciò che stava accadendo in Italia e nel mondo, e dopo non ne sarei uscita arricchita, né più acculturata per i libri letti o i webinar seguiti, piuttosto certamente inaridita, completamente alienata, di certo più inconsapevole. Bisogna avere il coraggio di accettare la paura, la nostalgia, la tristezza, io ho provato a farlo ogni giorno durante la quarantena, nella certezza che quello fosse il primo passo da compiere per un buon superamento di ciò che stava avvenendo.
Ho scoperto però anche la forza, la tenacia e l’entusiasmo del “dopo”, perché sono carica come forse non mi sentivo da molto tempo, desiderosa e impaziente di dedicarmi al mio lavoro, a vecchi e nuovi progetti, a quelle collaborazioni professionali sane e proficue che da tempo mi impegno a coltivare. Sono convinta che molti professionisti del mio settore e molte piccole e medie realtà artistiche e culturali attive sul territorio nazionale abbiano imparato tanto da questo periodo buio. Penso che sia il momento giusto per tornare a dare spazio a progetti di qualità, che interagiscano con quell’immenso substrato storico, storico-artistico e paesaggistico che rende l’Italia un Paese unico al mondo, e mettano a frutto quella creatività e quello spirito di innovazione che da sempre identificano il nostro popolo. Penso anche che sia giunto il momento di investire sul nostro contemporaneo, per premiare le ricerche, l’impegno e i sacrifici dei nostri artisti. Sono convinta che sia arrivato il tempo di recuperare il valore della cultura diffusa e collettiva, in grado di muoversi trasversalmente nella società e di occupare ogni luogo sociale, perché mai prima di ora avevo avuto la così netta sensazione che proprio nella cultura, nell’arte, nella conoscenza il popolo avesse provato a trovare serenità e pace, la forza per affrontare l’isolamento e per superare il distanziamento sociale. Bisogna ripartire da queste impellenti necessità e da queste importanti risposte del pubblico, e fare tesoro di quell’atto del reinventarsi che i musei, le gallerie, le fondazioni, le associazioni, i liberi professionisti hanno dovuto e saputo mettere in campo in tempi record, conservandolo e reinvestendolo in nuove prospettive. Abbiamo davanti una possibilità unica, più che ricostruire per ripartire, ricostruire per migliorare, non possiamo correre il rischio di sprecarla.

Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’“assenza” e della “mancanza”.
Non sono una persona a cui piace prendere parte alla vita mondana, non amo uscire tutte le sere e non frequento moltitudini di persone. Mi piace però poter curare i rapporti, stabilire un contatto frequente e costante con le persone a cui voglio bene, prendermi cura di quelle relazioni umane in grado di arricchirti, compensarti, accompagnarti in un percorso di vita. Quindi, se dovessi parlare delle mie più sentite mancanze durante la quarantena, parlerei sicuramente dell’assenza forzata di contatto umano, della lontananza, non quantificabile in kilometri, che ha separato me, la mia famiglia e quelle persone che fanno parte del mio quotidiano.
Al secondo posto metterei sicuramente i viaggi. Anche qui faccio una premessa che ritengo importante. Non sono una di quelle persone che approfitta di ogni weekend per macinare km in auto, in aereo, in treno per raggiungere mete da sogno. Amo godermi la città in cui vivo, amo godermi i momenti di relax nella mia casa, recuperare energie e fiato nella mia quotidianità. Negli ultimi anni però il mio lavoro mi ha portato a viaggiare molto, a scoprire nuovi borghi, nuove città, nuovi paesaggi, e a stabilire lì dei contatti che, seppur probabilmente solo di passaggio nella mia vita, risultano essere importanti nel mio percorso attuale. Questo sì, questo mi è mancato molto, poter tornare in quelle che per me diventano seconde, terze, quarte case, e chi mi conosce sa che quelle città si trasformano facilmente per me in luoghi del cuore.

Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le tue “strategie” per instaurare nuove relazioni? 
Senz’altro anche nel mio caso la digitalizzazione dell’offerta, per quanto compatibile con gli eventi in programma e con gli obiettivi prefissati, è stata la prima strategia adottata per mantenere vivi i rapporti già instaurati e per stabilire nuove relazioni. La fruizione in virtuale ha garantito a me e a tanti altri professionisti del settore di non restare immobili dinanzi a ciò che stava accadendo, consentendo di portare sì avanti alcuni impegni lavorativi ma soprattutto di giocare un ruolo fondamentale, di supporto e di svago, in un momento delicato e decisivo come quello della quarantena cui eravamo stati tutti sottoposti. Nell’ambito del progetto TraMe – Tracce di Memoria (www.tra-me.org/), di cui sono curatrice, con il team dell’agenzia The Uncommon Factory, si è deciso di aderire alla campagna social #iorestoacasa e di accogliere l’invito del Ministro Franceschini di incrementare la diffusione di contenuti culturali tramite i canali web, ripensando in versione digital alcune delle attività previste in calendario. Abbiamo esplorato soluzioni che ci hanno poi permesso di rafforzare l’interazione con i reatini, principali destinatari della nostra iniziativa, ma anche di incrementare il dialogo con il pubblico nazionale, sfruttando al meglio il tempo che le persone costrette alla quarantena avrebbero trascorso on line. L’attività che ha subito maggiori trasformazioni è stata “Il dialogo della conoscenza”, la nostra summer school fotografica, destinata alle ragazze e ai ragazzi di Rieti e provincia, ancora in età scolastica.
Pensato per essere sviluppato nella città di Rieti, attraverso lezioni frontali ed esplorazioni del territorio, volte a cogliere le specificità del contesto naturale e urbano dell’area reatina, il corso si è arricchito, per la situazione sanitaria attuale, di due fasi iniziali nuove: lezioni tecnico-conoscitive in versione e-learning da un lato e una nuova esperienza di ricerca e sperimentazione negli spazi intimi delle abitazioni, nei luoghi in cui gli studenti stavano trascorrendo la loro quarantena, dall’altro.
Se è vero che i progetti culturali devono dialogare con la società a cui si rivolgono e devono rispecchiare l’epoca storica nella quale sono stati calati, allora si è reso quanto mai necessario che il corso di fotografia “Il Dialogo della Conoscenza” si modificasse durante il 2020 per farsi testimonianza di quanto stava accadendo in Italia e nel mondo, rendendosi strumento utile per superare la crisi individuale e collettiva che le persone erano state costrette ad affrontare a causa della diffusione del Covid-19.
L’offerta culturale, anche nella sua versione digitale, ha dimostrato di essere assolutamente in grado di creare valide occasioni di confronto, di approfondimento e di scambio, contribuendo a rendere più leggero il peso della temporanea condizione di isolamento imposta dalle restrizioni nazionali e offrendo stimoli, svaghi e spunti di riflessione. Ha dimostrato inoltre di avere il grande potere di superare ogni confine geografico e qualsiasi limite generazionale, rendendoci fieri di richieste di iscrizione provenienti da ogni parte d’Italia da parte di persone di ogni età.
È chiaro che il confronto de visu tra un docente e uno studente, tra un docente e la sua classe resterà sempre motivo di arricchimento umano e professionale, per entrambe le parti, ma in situazioni di necessità, è stato importante sperimentare nuove metodologie e testarne i risultati. Siamo molto orgogliosi di quanto portato avanti ma soprattutto siamo felici di aver offerto al pubblico del web uno spazio di formazione, un momento di riflessione e l’occasione per un approfondimento sociale e culturale.

Annalisa Ferraro. Storica dell’arte, laureata presso l’Università Federico II di Napoli, specializzata nella valorizzazione e conservazione dell’arte contemporanea.
Dal 2015 collabora con l’Associazione I Martedì Critici. È stata Curatrice Associata delle Residenze d’Artista BoCs Art, progetto di rilievo internazionale che dal 2015 al 2017 ha coinvolto oltre 300 artisti, ed è autrice del volume Bocs Art. Residenze d’artista Cosenza 2015/2016.
È consulente presso l’agenzia The Uncommon Factory di Roma, per le attività storico-artistiche.
Ha curato eventi ed esposizioni in tutta Italia e ha collaborato con alcune tra le più note riviste di settore. Dal 2019 ricopre il ruolo di responsabile artistica e curatrice del progetto TraMe-Tracce di Memoria, una rassegna di eventi sostenuta dalla Regione Lazio e dai Fondi FESR.

Giu05

Raffaele Quattrone. Photo Johnny Pixel. Courtesy Black and White Studios.

#acasatuttibene. RAFFAELE QUATTRONE: ripartire da un’umanità che ci eravamo dimenticati potesse esistere

Raffaele Quattrone da Bologna

La tua nuova ritualità quotidiana…
Il 2018 e il 2019 sono stati per me due anni molto frenetici in quanto alla mia normale attività si è aggiunta la scrittura e promozione di un nuovo libro e parallelamente la scrittura, interpretazione e promozione di un documentario che mi ha portato in giro per il mondo. Per cui avevo la necessità, sentivo la necessità di fermarmi, di riposarmi ma poi capitava sempre qualcosa di nuovo che mi portava a rimandare il periodo di riposo, a spostarlo più avanti. Da questo punto di vista l’epidemia ha dato uno stop a tutto e mi ha imposto di fermarmi a riposare ma anche a maturare una maggiore consapevolezza rispetto a quello che stavo facendo e quello che avrei voluto fare. Improvvisamente non ero più in viaggio o circondato da persone ma ero a casa, a Bologna, da solo, impossibilitato come tutti a muovermi anche solo per visitare la mia famiglia che abita in un’altra nazione. Fin dall’inizio però mi sono sforzato di vedere il bicchiere mezzo pieno innanzitutto perché ero sano, perché conservavo un lavoro ed uno stipendio e poi perché avevo finalmente il “tempo” che qualche volta mi ero lamentato di non avere. È questa una grande ricchezza della quale spesso ci dimentichiamo. L’epidemia è stata devastante per le persone ammalate, morte, rimaste senza lavoro o senza soldi… ma ha avuto anche una forza rigenerativa rispetto a tutto quello che abbiamo sempre rimandato, che ci siamo “tirati dietro” con l’idea che un giorno ci avremmo “messo le mani”. Ecco, quel giorno è arrivato.

Come è cambiato il tuo modo di lavorare?
È dalla seconda metà di febbraio che non viaggio più e lavoro come la maggior parte di noi con pc, telefono, email, videochiamate, ecc. Dovevo essere in Sudafrica e poi a New York per partecipare a dei festival dove era stato selezionato NewFaustianWorld e mi sono trovato comodamente a casa in videoconferenza. Il contatto umano però mi è mancato moltissimo. È sicuramente più comoda la videoconferenza ma è anche meno emozionante della presenza fisica. Ho scoperto la bellezza di scrivere sui fogli, di fare la “brutta e bella copia”, sempre riciclando la carta e stando attento a non sprecarla. Ho riscoperto un modo di lavorare più lento ma molto più riflessivo e consapevole. Ho potenziato molto la fase della progettualità in modo tale da essere subito operativo quando magari torneranno le condizioni per riprendere le nostre attività a 360°. Il mio nuovo modo di lavorare è imperniato sullo slow living, sul rallentamento dei ritmi lasciandomi ispirare da ciò che mi dà serenità e benessere.

Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’assenza e della mancanza.
Mi manca la mia famiglia ed i miei affetti. Cerco sempre di essere il più possibile fisicamente presente ma in questo periodo mi è stato impossibile. Per quanto possano essere frequenti le videochiamate che aiutano tantissimo per carità, il contatto fisico è un’altra cosa e trovarsi improvvisamente lontani non è facile.

Come immagini il mondo quando tutto ripartirà?
Il mio timore più grande è di ritrovare il mondo esattamente come l’ho lasciato dimostrando di non aver capito nulla dalla lezione che ci ha dato l’epidemia. Abbiamo agito fino ad oggi con la “smania di Faust” che non si accontenta mai. Il progresso, l’andare sempre e comunque avanti è diventato alla fine, scusa il gioco di parole, fine a se stesso. Abbiamo perso di vista la meta, dove stavamo andando. È arrivato il momento di fermarsi e fissare tutti insieme una nuova meta, senza lasciare indietro nessuno. L’epidemia ha dato luogo a tantissime forme di collaborazione, di aiuto reciproco, un’umanità che ci eravamo dimenticati potesse esistere. Ecco ripartiamo da qui, mi sembra un buon punto di partenza.

Quando tutto finirà: una cosa da fare e una da non fare più.
Ne ho più di una da fare e da non fare!! Da fare: trovare sempre il tempo per la famiglia, gli amici, le persone alle quali si vuole bene e trovare sempre il tempo e il modo per dire che si vuole loro bene. Sfruttare sempre quindi le opportunità che ci capitano senza darle per scontate o senza rimandarle a domani. Se abbiamo il tempo di farle oggi, facciamole oggi. Non fare mai più: di non pensare agli altri. L’epidemia ci ha insegnato quanto siamo legati, quanto le scelte di uno possano influenzare la vita degli altri. In altri termini proviamo a vivere più responsabilmente per noi, per gli altri, per l’ambiente che ci ospita.

Raffaele Quattrone è un sociologo e curatore di arte contemporanea che vive tra Bologna e Roma. Collabora con il Wall Street International magazine e la Real Academia de Espana en Roma. Tra i suoi libri IN ITINERE. Arte contemporanea in trasformazione (2014, Equipèco Edizioni) con un’introduzione di M. Pistoletto e una conversazione con l’artista cinese Wang Qingsong e NewFaustianWorld (2018, 24 ORE Cultura). Nell’ultimo periodo ha collaborato al libro di Xose Prieto Souso, El ùltimo Espaliù, pubblicato a marzo 2020 da AECID Publicationes, Madrid. Il documentario NewFaustianWorld (diretto da Piero Passaro e tratto dal suo ultimo libro) nel mese di maggio è stato premiato come miglior documentario straniero al RAGFF New York City. www.raffaelequattrone.com

Giu05

Lorella Giudici

#acasatuttibene. Lorella Giudici: la preoccupazione per la generale indifferenza verso la cultura e gli artisti

Lorella Giudici da Milano

La tua nuova ritualità quotidiana…
Non mi dispiace svegliarmi al mattino (e la mia sveglia, ancora adesso, suona sempre all’alba) e sapere di non dover corre a prendere un autobus, un treno, un aereo o di non dovermi mettere in macchina per andare a un appuntamento, a un convegno, a una riunione e rischiare di restare preda del traffico o del ritardo cronico dei mezzi di trasporto. Gli unici trasferimenti che mi sono mancati sono stati quelli che, due o tre volte alla settimana, mi portavano in aula dai miei studenti per trascorrere con loro indimenticabili momenti di arricchimento.
Ho ripreso a lavorare su alcuni progetti che prima avevo accantonato e che invece presto vedranno la luce.

Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Per chi scrive e studia non è raro trascorrere lunghi periodi di “reclusione”, intere giornate (a volte anche nottate) davanti al computer nel tentativo di inanellare pensieri, immagini e riflessioni in saggi che possano raccontare qualcosa di nuovo, che possano inquadrare in prospettive diverse il lavoro di un artista. Quando stai portando a termine un libro o quando sei nel vivo della progettazione di una mostra hai bisogno di isolarti, di mettere insieme i pezzi di un puzzle complesso e avvincente. Ciò che rende diverso questo momento è non avere il contatto diretto con l’opera d’arte, tenere lezioni, riunioni e conferenze via web, con un risparmio sui tempi di percorrenza, ma con un terribile inaridimento dei contatti umani.

Ad oggi quali sono state per te le conseguenze immediate della diffusione del Covid-19 sul tuo lavoro e quali pensi possano essere le conseguenze a lungo termine?
Tra le conseguenze più ovvie c’è l’annullamento o il rinvio di mostre e progetti. Ma ciò che maggiormente mi preoccupa è la generale indifferenza nei confronti della cultura e degli artisti in particolare. Constatare che, in un Paese che potrebbe vivere di arte, la professione dell’artista non ha nessun posto e che nessuna manovra finanziaria ha un capitolo a sostegno della categoria mi conferma che abbiamo ancora molta strada da percorrere.

Lorella Giudici: Sono professore di storia dell’arte contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano e all’Accademia Albertina di Torino. Curo mostre e mi occupo di arte contemporanea e dell’arte tra ottocento e novecento, con particolare interesse al periodo tra le due guerre. Sono nel comitato scientifico della Fondazione Remo Bianco e della Fondazione Sangregorio. Sono stata direttrice del Museo del Paesaggio di Verbania. Tra le tante pubblicazioni e curatele potrei citare: Edgar Degas. Lettere e testimonianze, Milano 2002; Medardo Rosso. Scritti sulla scultura, Milano 2003; Giorgio Morandi. Lettere, Milano 2004; Gauguin. Noa Noa e lettere da Thaiti (1891-1893), Milano 2007; Lettere dei Macchiaioli, Milano 2008; Monet, Mon histoire. Pensieri e testimonianze, Milano 2009. Tra le tante mostre curate potrei ricordarne un paio tra le più recenti: Giuseppe Ajmone. Gli amici di Corrente e il Manifesto del Realismo, Fondazione Corrente, Milano 2018; Remo Bianco. Le impronte della memoria, Museo del 900, Milano 2019. In questi ultimi mesi ho lavorato a due importanti saggi: uno per la rivista “Metafisica” sul rapporto De Chirico-Lo Duca e l’altro per la Fondazione Ragghianti su Raffaello Giolli.

Giu04

Angel Moya Garcia

#acasatuttibene. ANGEL MOYA GARCIA: dubito che reale e virtuale debbano andare in contrasto

Angel Moya Garcia da Firenze

Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Nel mio caso i cambiamenti sono stati legati fondamentalmente allo spazio concreto di lavoro, con tutte le conseguenze che esso ha comportato. Mentre prima lo spartiacque tra vita privata e vita professionale veniva segnato dalla distinzione più o meno netta tra ufficio e casa, adesso entrambi gli aspetti sono completamente intrecciati senza soluzione di continuità. Sicuramente il lavoro è stato meno lineare rispetto alla “normalità”, ma ho potuto da un lato avere più tempo da dedicare alla mia famiglia, dall’altro diventare più produttivo, accelerando i tempi, nei momenti che potevo dedicare al lavoro. Fino a prima dell’emergenza, utilizzavo le videochiamate solo ed esclusivamente quando era impossibile incontrare una persona, sia per motivi di tempistiche sia, soprattutto, per lontananza, in questi mesi invece è diventata componente quasi esclusiva delle ore di lavoro.

Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’“assenza” e della “mancanza”.
Credo che, a prescindere delle cause, siano fondamentalmente i piccoli dettagli quotidiani che diamo per scontati e che fanno parte integrante del nostro modo di vivere e di relazionarsi, che vengono a mancare. Dalle passeggiate nel parco ai giri in bici, dal caffè in un bar alla lettura del giornale cartaceo in un luogo pubblico, dalla possibilità di prendere un treno o un aereo per incontrare un artista nel suo studio al sopralluogo fisico in uno spazio concreto per capire le sue caratteristiche, dalle riunioni in cui il linguaggio non verbale è imprescindibile nel suo svolgimento alla possibilità di assistere all’inaugurazione di una mostra, confrontandoci con amici e colleghi con un buon bicchiere di vino in mano.

Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le tue “strategie” per instaurare nuove relazioni? 
Come ho accennato in altri contesti, in questi ultimi mesi abbiamo assistito e continuiamo ad assistere a una bulimia di attività culturali in streaming e credo spetti a ognuno di noi accettare o meno il rischio che queste possano diventare mero intrattenimento culturale o che possano essere utilizzate soltanto in modo consolatorio da parte del pubblico. Lo stesso vale per i rapporti virtuali nei social network a cui ormai siamo abituati e anche assuefatti.
In entrambi i casi, dubito che reale e virtuale debbano andare in contrasto, anzi, sono convinto che siano piani paralleli di comunicazione interpersonale, che si sostengono reciprocamente, ma ognuno con specificità proprie. Proprio per questo credo che uno non possa sostituire l’altro. Una mostra, uno spettacolo o un concerto pensati per la fruizione dal vivo non possono essere semplicemente trasferiti sul virtuale e ottenere la stessa incisività, così come non avrebbe proprio senso trasferire interventi pensati per il web a una realtà fisica senza adattamenti concreti e senza compromessi.
Personalmente ad oggi non ho “strategie” per instaurare nuove relazioni perché prima devo capire come far finire mentalmente questa sospensione, come attuare praticamente i decreti e le nuove regole senza depotenziare i progetti e come approfittare di tutto questo in modo da transformarlo in stimolo per ripensare il futuro immediato.

Angel Moya Garcia (Cordoba, 1980) è laureato in Storia dell’Arte presso l’Università di Cordoba. È co-direttore per le arti visive della Tenuta dello Scompiglio a Lucca e socio di ICOM Italia – International Council of Museums, dell’IKT – International Association of Curators of Contemporary Art e dell’IAC – Istituto di Arte Contemporanea in Spagna. Da oltre dieci anni la sua ricerca si focalizza sulla performance e sul concetto di identità all’interno della collettività. Da marzo 2020 è responsabile della programmazione culturale e del coordinamento degli eventi del Mattatoio di Roma. www.mattatoioroma.it
www.delloscompiglio.org 

Giu03

Enrico Carlo Bonanate

#acasatuttibene. ENRICO CARLO BONANATE: se il mondo somigliasse di più all’immaginazione…

Enrico Carlo Bonanate da Torino

La sua nuova ritualità quotidiana…
Se non fosse stato per il dramma che stavamo vivendo potrei dire che questo periodo è stato persino bello. Ho trascorso il lockdown con i miei affetti più cari – Lucia, la mia compagna e Antonio, il nostro bassotto – nella nostra luminosa casa di Torino e, in casa, ho continuato a lavorare, perché la parte burocratica e amministrativa del mio lavoro (la più “noiosa”…) non poteva andare in quarantena. Per il resto del tempo abbiamo mangiato tanto e siamo ingrassati tanto, aperto le migliori bottiglie della nostra cantina per i rituali aperitivi virtuali con gli amici, applaudito e cantato dai balconi, pulito casa, riletto vecchi libri, ascoltato buona musica e fatto maratone di interminabili serie tv, fantasticato sui nostri prossimi viaggi… Ci siamo preoccupati per le persone a cui vogliamo bene, che per fortuna stanno tutte bene, tagliati i capelli a vicenda, abbracciati nei momenti tristi… A dire il vero a volte ci siamo anche annoiati, ma abbiamo imparato ad apprezzare la noia. E, poi, tanti altri piccoli momenti familiari e grandi gesti di solidarietà sociale che non potrò mai dimenticare, così come non scorderò mai il silenzio e la drammatica, però magnifica, bellezza di Torino deserta.

Com’è cambiato il suo modo di lavorare?
Al di là del passaggio alla sfera digitale e della drastica riduzione della mobilità, una ovvia sensazione di incertezza rispetto al futuro è contemporaneamente stata portatrice di una grande gettata immaginativa e di molte riflessioni sul lungo periodo. Sarebbe falso e retorico parlare di “il lato positivo” della situazione, ma va detto che, nel lavoro, è interessante osservare come cambiano le dinamiche quando le scadenze e le possibilità di progettare si spostano più avanti nel tempo, un tempo inedito e dalle caratteristiche incerte. Direi che più di aver modificato le mie modalità di lavoro, ho cercato il più possibile di adattarne la forma mentis a questo momento di grande incertezza globale, in cui credo sia più che mai importante rispettare i tempi della natura e non piegarli alle logiche del mercato globale contemporaneo, che sono quanto di più antropocentrico si possa pensare.

Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le sue “strategie” per instaurare nuove relazioni? 
Come abbiamo scritto nel nostro Pav Bullettin, con il lockdown ci siamo scoperti meno immateriali di quanto pensassimo. All’inizio, pur apprezzando veramente il lavoro “social” di molti musei e operatori del settore, mi sono sentito un po’ frastornato da tutta questa offerta virtuale d’arte e ho preferito fermarmi e fermare le comunicazioni del PAV. Solo dopo un periodo di riflessione e di rigenerante silenzio, ho ritenuto di riavvicinarci al nostro pubblico con discrezione, elaborando alcuni format dedicati al digitale (le tre sezioni del PAV Bullettin e alcune iniziative specifiche per Instagram come le storie quotidiane “Pillole di PAV” e il challenge #pavnatureinlockdown). Con lo Staff del PAV stiamo sviluppando altri progetti virtuali per il futuro, tra cui uno dedicato ai giovani artisti, ma dobbiamo confessare di non amare molto questa dimensione, nonostante ci siamo adattati a implementarla per l’eccezionalità del momento. Sicuramente rimarrà qualcosa di buono, ma non dobbiamo dimenticare che la produzione artistica ha i suoi luoghi e i suoi spazi di relazione specifici. Le “nuove” relazioni devono essere funzionali a non spezzare le vecchie relazioni con lo spazio e le comunità, non sostituirle.

Come immagina il mondo, quando tutto ripartirà?
Preferisco parlare della direzione in cui mi auguro andrà il mondo nel momento in cui si potrà veramente ripartire. Non direi nulla di nuovo se cominciassi a parlare di un diverso rapporto con l’ambiente, di una concezione meno dicotomica tra natura e cultura, di un’economia differente, non orientata a meccanismi di crescita feroci ai danni dell’ambiente, degli animali e delle persone. Non direi davvero nulla di nuovo, se cominciassi a parlare di relazioni più empatiche, di una società diversa. Al PAV portiamo avanti questi principi, queste battaglie, da più di dieci anni. Vorrei che il mondo somigliasse di più all’immaginazione e all’impegno civile che sta dietro al nostro lavoro. Vorrei che non si considerassero più i moniti della scienza come preoccupazioni di poco conto. Questo è il momento di pensare al riscaldamento globale e alla tutela del pianeta Terra.

Enrico Carlo Bonanate nasce a Torino nel 1977 ed è il Direttore del PAV – Parco Arte Vivente, Centro Sperimentale di Arte Contemporanea di Torino, ideato da Piero Gilardi. Attivo nell’associazione culturale PAV fin dalle origini, da sempre grande appassionato di arte contemporanea e di “mondo vegetale”, nel 2015 decide di abbandonare definitivamente la carriera di avvocato amministrativista per lavorare con l’arte e la natura.
www.parcoartevivente.it

«‹1234567891011121314›»

Filtra per categoria:

  • EBOOK
    • Ebook Catalogo
    • Ebook Celeste Network Artists
    • Ebook Portfolio
    • [PageNotFound]
  • GIOCHI
  • Senza categoria
  • VOLUMI
    • Arte
      • Fotografia
      • Pittura
      • Scultura
    • Fumetto
    • Le Vanilline - Guide
    • Monografie
    • MuDA Books
    • Narrativa / Saggistica
    • the painter's room
    • Vanilla Pocket
    • YAB
    • [PNF] - [PageNotFound]

SEGUICI SU FACEBOOK

NEWS RECENTI

ARSCODE – il gioco dell’arte. Tutti vogliono essere collezionistipubblicato da vanillaedizioni
IL SALOTTO DI BOCCA IN GALLERIA: presentazione del libro NATALY MAIER PERCORSI DI PITTURA 1990 2020pubblicato da vanillaedizioni
Casa Jorn e la ceramica contemporanea: la residenza artistica di Salvatore Aranciopubblicato da vanillaedizioni


Copyright Vanillaedizioni

IMAGE s.n.c. | Via Traversa dei Ceramisti 8/r, 17012 Albissola Marina (SV) | Tel. +39 019 4500744
Partita IVA/C.F.: 01283170098

Home // Termini e Condizioni // Privacy Policy // Cookie Policy // Aiuto - FAQ // Contatti
designed by Villcom.net

Attention: starting from 2020 it will be possible to place orders that include shipments only to Italian addresses. Do you live abroad? Let's contact us!
Ignora

Utilizziamo i cookies per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui a navigare sul nostro sito accetterai l'uso di tali cookies. Consulta la Cookie Policy per maggiori informazioni.AccettoLeggi di più