A Casa Tutti Bene. Lo sappiamo che per molti oggi non è così. C’è chi ha bisogno di più “rumore” attorno e chi, invece, di molto più silenzio rispetto a prima.
A Casa Tutti Bene è come una radio da lasciare accesa quando ne abbiamo voglia, da alzare a tutto volume se ci và, da abbassare o silenziare del tutto quando vogliamo stare da soli.
A Casa Tutti Bene non è, quindi, IL progetto di questa quarantena ma UN progetto, IL NOSTRO, unico perché composto da una “teoria” di artisti, uomini e donne di cultura che hanno scelto di condividere con noi il loro tempo, oggi, così dilatato e così compresso. Grazie.
In collaborazione con Espoarte.
ARCHIVIO CATEGORIA: #acasatuttibene
Pierpaolo Lista da Paestum (SA)
La tua nuova ritualità quotidiana…
L’arrivo della pandemia ci ha inaspettatamente portato all’isolamento sociale. Le circostanze che si sono create hanno cambiato abitudini e ritmi di vita. L’obbligo di stare in casa mi ha dato l’opportunità di lavorare e svolgere le attività quotidiane con meno fretta. Avendo la percezione di un tempo più lungo ho dedicato più ore alle mie passioni. Ho ascoltato vecchi dischi e mi sono reso conto come cambiano le emozioni e il sentire con il passare degli anni; ho riordinato vecchie fotografie che mi hanno rivelato dettagli, eventi e fasi della mia vita dimenticate; ho sfogliato cataloghi e riviste d’arte accantonate nella libreria.
Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Vivendo in una casa studio il mio modo di lavorare non ha subito un grande cambiamento. Ho continuato a dipingere, a fotografare, a disegnare nel mio studio senza restrizioni. Non ho interrotto i miei progetti, anche se la mostra personale che avrei dovuto inaugurare in primavera è stata rimandata. Mi sono dedicato a progetti già definiti e ne ho sviluppati di nuovi. Ho anche riordinato e riorganizzato piccoli angoli dello studio un po’ confusi. Inoltre, in questo periodo, il mondo dell’arte non si è fermato completamente e ha organizzato iniziative sul web alle quali ho partecipato con grande entusiasmo.
Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’“assenza” e della “mancanza”.
In questo momento storico mi sono venute a mancare alcune certezze della nostra società, la libertà individuale e la libertà di movimento. Mi manca vivere gli spazi esterni, andare al cinema, a un concerto, visitare una mostra, camminare per le strade di una città o fare una semplice passeggiata al mare. Dopo mesi di contatti virtuali, pur sapendo che la lontananza fisica non corrisponde a una lontananza emotiva, mi manca incontrare i miei amici e i miei familiari.
Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
Con la ripartenza non si tornerà alla normalità. Sarà una normalità nuova. Il distanziamento sociale farà ancora a lungo parte della nostra vita. Bisognerà riorganizzare i luoghi pubblici e ripensare a una nuova mobilità. In futuro, quando il momento di crisi passerà, torneremo sicuramente a viaggiare, a incontrare le persone ma con modalità diverse. Sicuramente per me non sarà un mondo migliore finché non potrò abbracciare le persone che amo.
Pierpaolo Lista è nato a Salerno 1977. Vive a Paestum e lavora tra Napoli e Milano. La pittura è stato il primo linguaggio visivo che ha utilizzato. Dopo aver indagato diversi materiali, ha scelto come supporto pittorico il vetro. Lavora sul retro della lastra vitrea con pennellate, graffi e incisioni sulle campiture di colore. Nel 2007 intraprende anche un percorso fotografico. Per realizzare le immagini, ricostruisce nel suo studio una realtà fittizia popolata da oggetti realizzati con materiali poveri (carta, ferro filato, spago). Il suo lavoro è una prassi di ricostruzione di scenari disabitati, ambientazioni scarnificate, riproduzione di oggetti rappresentati da linee essenziali. Le sue immagini nascono dalla manipolazione di archetipi narrativi, immagini mentali, flash visivi. Negli ultimi anni realizza anche video e installazioni.
Nel 2019 partecipa alla collettiva Opere, idee, progetti, persone dalla collezione del Madre a cura di Andrea Viliani e Silvia Salvati al Castello Macchiaroli di Teggiano con un’opera che è entrata a far parte della collezione del Museo Madre. https://instagram.com/pierpaololista https://www.facebook.com/Pierpaolo-Lista
Mag20
Serena Fineschi da Siena
Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le tue “strategie” per instaurare nuove relazioni?
In realtà non dovremmo più parlare di strategie ma parlare di artisti, della loro ricerca e delle loro opere. Queste sono le relazioni che dovremmo coltivare con perseveranza e maggiore attenzione.
Nel 2018 con Laura Viale e Alessandro Scarabello ho fondato MODO asbl, un’associazione culturale indipendente con sede a Bruxelles. È un luogo di pratica quotidiana, sede dei nostri studi, così come uno spazio utile a rinnovare e arricchire il dialogo sulla centralità dell’opera d’arte. L’idea di MODO è quella di riportare al centro della discussione contemporanea l’importanza dell’opera d’arte come perno ed elemento di produzione di valore culturale, proponendo momenti di dialogo in cui gli ospiti invitati conversano intimamente e si confrontano aprendo una riflessione sul significato e l’importanza dell’opera d’arte nel panorama contemporaneo.
Credo fermamente che si debba ripartire da questo concetto e dagli spazi di produzione degli artisti dove tutto ha origine (l’intimità e l’opera sono venute insieme al mondo) e che questi possano diventare liberi territori di dialogo, incontro, confronto, crescita e educazione. Da anni manca una critica indipendente che dissenta con coraggio, lo stesso coraggio da recuperare negli artisti a essere disturbanti e autentici con l’urgenza che li definisce. Solo creando occasioni di confronto, dove gli artisti possano sostenersi, aiutarsi, confrontarsi, battersi con onestà e fronteggiarsi con stima si potranno ridefinire gli esercizi di un diverso approccio al contemporaneo e creare nuovi disordini di pensiero.
Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
Non riesco a immaginare cosa accadrà ma so che la saturazione di informazioni visive ha inquinato il nostro modo di vedere, usurato la forza dell’apparizione, logorato la meraviglia dello stupore, consumando lentamente la nostra capacità di immaginare. Questo sta accadendo ormai da alcuni anni ed è indispensabile recuperare la lentezza della contemplazione dell’opera, la quale non ne esaurisce senz’altro la lettura, ma ne determina un valore fondamentale e una pratica sostanziale da riscattare: educare il nostro sguardo.
In questa fase storica sono indispensabili delle trasformazioni radicali che possano creare delle bolle di resistenza fluide tra artista, critico, gallerista, collezionista e istituzione dove tra le urgenze si presenta anche quella di formare, conversare e dialogare con il nuovo spettro del pubblico digitale, affinché si stabiliscano rinnovate pratiche di convivenza che non ci rendano così subordinati all’approssimazione e all’indifferenza.
Stiamo capendo che si può vivere con meno mobilità?
Ho sempre pensato che debbano essere le opere a viaggiare e muoversi, molto più degli artisti.
Sono le opere che hanno il potere della visione e del viaggio; attraversano confini, esplorano nuovi spazi e vagabondano senza sosta, abitando ogni intervallo possibile. Sono loro a doversi muovere.
Quando tutto questo finirà: una cosa da fare e una da non fare mai più.
Con Laura e Alessandro stiamo lavorando alla possibilità di creare una sede di MODO anche in Italia, proprio perché riteniamo che debbano esistere nuovi approdi dove gli artisti (e non solo) possano incontrarsi, dialogare e creare nuove opportunità di pensiero.
Riconsiderare le programmazioni museali dal rituale mortale degli eventi di massa a nuove visioni più ridotte, inaugurazioni a misura più intima che possano avvicinare il pubblico al contemporaneo con maggiore lentezza, conforto e attenzione. Un modo per educare un pubblico nuovo, più consapevole e preparato che possa diventare anche massa critica, come accade in molti altri paesi dove l’educazione all’arte, in particolare quella contemporanea, parte dalle basi della crescita e prosegue per tutto il periodo della scolarizzazione, creando sguardi pensanti. Rischiamo pericolosamente di andare alla deriva e lasciare la produzione del contemporaneo ad altri paesi.
L’Italia è tra i paesi culturalmente più arretrati d’Europa, dobbiamo aprire gli occhi, ora.
Serena Fineschi è nata a Siena. Vive e lavora a Siena e a Bruxelles.
Nel suo lavoro il corpo è la dimensione e la misura che lo determina. Il lavoro di Serena Fineschi è estensione carnale, nel quale il corpo dona e riceve. Le trame formali del suo lavoro si distendono e comprimono di continuo, producendo fessure euforicamente tragiche, luoghi di transito che confidano nuove riflessioni e esperienze tangibili, intime e sociali.
Il suo lavoro è stato presentato in numerose sedi pubbliche e private in Italia e all’estero tra cui il Musées Royaux de Beaux-Arts de Belgique, Old Masters Museum, a Bruxelles, l’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles, il Bozar, Centre for Fine Arts di Bruxelles, la collezione Frédéric de Goldschmidt, la Fondation Thalie a Bruxelles, Officina asbl a Bruxelles, Belgio; il Museo di Arte Moderna e Contemporanea Raffaele de Grada di San Gimignano, il Complesso Museale SMS Santa Maria della Scala di Siena, il Centro d’Arte Contemporanea Palazzo delle Papesse a Siena, le Corderie dell’Arsenale, la Biennale Manifesta12 a Palermo, Casa Masaccio Arte Contemporanea a San Giovanni Valdarno, la Fondazione Palazzo Magnani/Palazzo da Mosto a Reggio Emilia, l’Ospedaletto Contemporaneo, Complesso dell’Ospedaletto a Venezia, Palazzo Monti a Brescia, in Italia. Nel 2018 con Alessandro Scarabello e Laura Viale ha fondato MODO asbl, associazione culturale indipendente per la promozione del contemporaneo con sede a Bruxelles.
La sua ultima mostra è “Vogliamo parlare d’amore?”, a cura di Marina Dacci, solo show a Palazzo Monti, di Brescia, inaugurata il 15 febbraio 2020 e sospesa per l’emergenza Covid-19 (riapertura in fase di pianificazione).
Mag20
Tiziana Casapietra da Savona
Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’“assenza” e della “mancanza”.
Non mi manca nulla. Trovo questo levare utilissimo a ripensarsi. Qualche giorno fa ho letto sul The New Yorker (https://www.newyorker.com/news/our-columnists/the-political-consequences-of-loneliness-and-isolation-during-the-pandemic) un articolo che interpretava la situazione in atto attraverso Hannah Arendt quando descrive le potenzialità creative dell’isolamento, perché è nella solitudine che si alimenta il dialogo con se stessi. “Nel nostro mondo iper-connesso, raramente ci ricordiamo di ritagliarci spazi per la contemplazione solitaria” (fonte: https://aeon.co/ideas/before-you-can-be-with-others-first-learn-to-be-alone). Questa occasione ci sta concedendo il lusso di recuperare lo spazio privilegiato del dialogo silenzioso con noi stessi.
Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le tue “strategie” per instaurare nuove relazioni?
Dovendo chiudere il Museo (il Museo della Ceramica di Savona, ndr) come da decreto, anche noi ci si siamo interrogati su come continuare a mantenere vivo il rapporto con il pubblico ma soprattutto con tutti coloro che fruiscono regolarmente dei servizi e delle proposte museali.
Tra le prime risposte che abbiamo messo in atto ci sono stati i vocali d’artista. Ci pareva interessante coinvolgere direttamente gli artisti nella presentazione delle loro opere esposte al Museo. Abbiamo chiesto ad alcuni artisti di inviarci delle brevi note vocali via WhatsApp a commento dei loro lavori. Abbiamo montato i vocali sulle riprese video delle opere e abbiamo pubblicato queste suggestioni sul sito del Museo e sui social. Quando è possibile, leggere un’opera attraverso le parole di chi l’ha pensata arricchisce la fruizione dell’opera stessa. Questa operazione non è stata ovviamene possibile per le ceramiche realizzate in altre epoche storiche. In questo caso le riprese dei manufatti sono state montate su note vocali registrate dal personale del museo che, in tempi normali, guida i visitatori attraverso le sale alla scoperta delle opere esposte.
In un secondo tempo abbiamo ragionato sul tema della casa e su come questo luogo abbia assunto nel tempo del confinamento diversi significati e funzioni. La casa, in cui siamo costretti a restare più a lungo per proteggerci dal contagio, viene intesa come rifugio, luogo del calore familiare, ma anche spazio di studio e di lavoro. Capita che la stessa casa diventi il centro delle nostre solitudini e del nostro malessere, un luogo dove si alimentano insofferenze e sofferenze, una prigione da cui scappare.
Siamo partiti dall’analisi di un’opera che abbiamo al Museo Architettura divisa, casette dell’architetto e designer Franco Raggi. Caratterizzata da due porzioni di casa accostate ma divise, mi pareva che quest’opera, sebbene realizzata nel 2006, fosse oggi più che mai attuale. “È sulle linee di confine che avvengono le scintille”, dice Raggi durante una nostra conversazione in cui si ragiona su quest’opera (Link al suo vocale sull’opera https://www.youtube.com/watch?v=jwsDt-iquXI).
Partendo da questa riflessione sulla casa e sempre con l’intenzione di avvicinare il Museo al suo pubblico, abbiamo attivato il progetto #casalaboratorio portando l’argilla nelle case dei partecipanti affinché potessero realizzare manufatti ispirati al tema della casa. I partecipanti vengono seguiti nel loro lavoro dai responsabili delle nostre attività laboratoriali attraverso collegamenti settimanali via Hangouts Meet. Tutti i lavori realizzati verranno esposti al Museo quando, finita l’emergenza, saremo in grado di riaprilo al pubblico.
Stiamo capendo che si può vivere con meno mobilità?
Mi viene in mente che l’anno scorso, nella bellissima mostra Broken Nature alla Triennale di Milano, la sezione curata dal neurobiologo vegetale Stefano Mancuso mostrava i sofisticatissimi movimenti che effettuano le piante senza spostarsi. Movimento senza spostamento; sarebbe interessante soffermarsi sull’analisi di questo ossimoro. Anni fa, osservando l’omogeneità del mondo dell’arte contemporanea a livello internazionale, Obrist aveva teorizzato il principio del “fly-in, fly-out” applicato alla pratica curatoriale e ne abbiamo parlato a lungo durante una conversazione che ho pubblicato sul sito di Radicate (http://www.radicate.eu/it/hans-ulrich-obrist-serpentine-galleries-londra-capitolo-17/). Nel momento di massima eccitazione per una globalizzazione che iniziava a permetterci veloci viaggi low-cost in tutto il mondo, si volava da un capo all’altro del pianeta per prendere parte ai tre giorni di inaugurazione delle più grandi kermesse internazionali dell’arte e per ritrovarsi sempre davanti allo stesso modello di mostra e ai soliti artisti.
La moda delle esposizioni itineranti, soprattutto quelle commerciali, risponde a esigenze note: accorciare i tempi di produzione, contenere i costi e massimizzare il profitto. La mostra itinerante spedisce come un pacco, da una città all’altra, un prodotto artistico senza mai inserirlo davvero in un contesto specifico. Il fine di una mostra, però, non può più ridursi alla proposta di un prodotto chiuso, finito; una mostra, come ogni progetto culturale, deve essere in grado di scatenare un processo aperto di presa di coscienza e stimolare lo sviluppo del senso critico. Il movimento non si esaurisce nella movimentazione della mostra; il movimento trova piena realizzazione nella disponibilità a modificarsi, ad adattarsi, a conciliare la propria visione con quella dell’ambiente con cui si interagisce.
In un interessante articolo che ho letto recentemente sul Corriere della Sera (https://www.corriere.it/esteri/20_maggio_04/houellebecq-cari-amici-mondo-sara-uguale-solo-po-peggiore-e512c852-8e40-11ea-b08e-d2743999949b.shtml), Houellebecq cita Nietzsche e dice “a meno che non si debba scrivere una guida turistica, i paesaggi attraversati hanno meno importanza del paesaggio interiore”. Questo per dire che se il “fly-in, fly-out” non implica una relazione tra paesaggio attraversato e paesaggio interiore, il movimento è solo consumo.
Quello che sta succedendo in questo periodo, ci sollecita a sviluppare ulteriormente queste riflessioni sul senso e l’utilità delle mobilità nella costruzione di un progetto culturale, espositivo e museale. La sfida oggi è ridiscutere la missione dell’istituzione culturale, aggiornare la sua funzione all’interno della propria comunità di riferimento in base ai cambiamenti in atto che si fanno sempre più evidenti; nel contempo occorre alimentare, grazie alle tecnologie che abbiamo, le relazioni e gli scambi con colleghi, operatori dell’arte e della cultura e istituzioni attive a livello interazionale che si stanno interrogando sulle stesse questioni. La mobilità a cui aspirare deve essere tra paesaggio esteriore e interiore.
Nel 2013 ho fondato un progetto che ho chiamato Radicate (www.radicate.eu). Mi pareva che questo continuo viaggiare, che dalla fine degli anni Novanta caratterizzava il modo di lavorare di artisti e curatori, stesse iniziando a smarrire il suo senso senza permetterci di approfondire niente. Ho iniziato a ragionare sul concetto opposto al “fly-in, fly-out” e mi pareva di averlo individuato nel termine “radice”. Se il “fly-in, fly-out” presuppone l’essere contemporaneamente dappertutto e da nessuna parte, ho cominciato a interrogarmi su cosa implicasse l’essere invece profondamente radicati in un luogo. Ho così iniziato a utilizzare Skype (invece dell’aereo) per confrontarmi con colleghi di tutto il mondo su ricerca, futuro, visioni, partendo ciascuno dal proprio punto di vista che molto ha a che fare con il contesto in cui si vive, in cui appunto si è radicati. Le conversazioni che ho condotto via skype, più di un centinaio, sono raccolte sul sito.
Tiziana Casapietra dopo la laurea in Lettere Moderne con orientamento artistico, dal 1994 al 2000 ha lavorato come “Assistant Editor” presso la redazione milanese della rivista Flash Art International. Dal 1997 al 2009 è stata docente a contratto presso l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano. Dal 2000 al 2006 è stata co-fondatore e co-direttore artistico della Biennale di Ceramica nell’Arte Contemporanea che ha portato curatori, artisti e designer a confrontarsi con la ceramica. Nel 2013 ha fondato Radicate un progetto che prevede l’utilizzo di Skype per realizzare conversazioni con alcune figure chiave della ricerca artistica internazionale. Dal 2018 dirige il Museo della Ceramica di Savona. Tra i progetti su cui sta lavorando ora, quello che permetterà la visita del modello di città in ceramica di Yona Friedman grazie all’utilizzo di visori 3D realizzati in collaborazione con il Dipartimento di Architettura e Design dell’Università degli Studi di Genova e il progetto che consentirà di relazionarsi nello spazio con il segno del “Terzo Paradiso” di Michelangelo Pistoletto grazie alle applicazioni digitali sviluppate dal CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e SPX Lab di Genova. http://musa.savona.it/museodellaceramica/
Mag19
Marika Vicari da Creazzo (VI)
Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Lavoro costantemente alla creazione dei miei disegni ed alle mie ricerche relative ai miei studi ma in questo momento ho rivisto tempi e spazi che ho la fortuna di condividere con due interessanti artisti, mio marito anch’egli pittore e nostro figlio di cinque anni che spazia tra musica e pittura. La coesistenza mentale più che fisica di un unico spazio (casa+uno dei due studi) amplifica un percorso (direi piuttosto abbozzato nella sua struttura ma colorato e multiforme) fatto di rotoli di fogli, tele, matite, pennelli, colori… Chi mi conosce sa quanto questo si discosti dal mio personale modo di lavorare in solitaria ed maniera analitica ma è dopotutto divertente e rigenerante. Sembra di essere tornati in residenza in qualche città europea (nei mesi scorsi vivevamo così Parigi) ma in realtà oggi, persi in un tempo indefinito o a guardare con più distanza, ripenso ai tempi dell’Accademia a Venezia, tra spazi condivisi in atelier, tempi, dialoghi sospesi sull’arte, i sogni e sulla vita… Quello che poi è diventato realtà.
Con quali oggetti e spazi del tuo quotidiano stai interagendo di più?
Senz’altro con il mio studio e la nostra casa. In attesa della riprogrammazione delle mostre (una di queste pronta, dopo otto mesi di lavoro, doveva inaugurare a marzo alla Galleria Punto sull’Arte), degli eventi e residenze in Europa, sto facendo un po’ di ricerca tra materiali diversi e realizzando una nuova serie di disegni su carta. Al contempo, ho ripreso in mano alcuni progetti personali artistici e curatoriali (tra cui la programmazione della 18. edizione del Festival ART STAYS, un grande evento che slitterà in autunno a causa del Covid-19), perciò ho spesso a che fare con la ricerca di libri e saggi. Interagisco più del solito anche con le nuove tecnologie, mondo intricato ed affascinante che mi permette di affacciarmi a strumentazioni diverse, alle realtà virtuali, collegarmi agli amici, artisti e curatori sparsi per il mondo o più semplicemente per far lezione con i miei studenti.
Abbiamo a che fare con un tempo e uno spazio nuovi. Cosa stai scoprendo o riscoprendo di te?
La consapevolezza del tempo (o di non averne affatto) si fa strumento e medium per liberare la mente ed aprirla alla registrazione del silenzio, del cambiamento che investe la morfologia, la struttura e geografia di nuovi spazi. Sto riassaporando il valore della distanza, dalla confusione, dalle persone, dal vuoto stesso che spesso ritrovo solo a tarda sera o di notte, quando finalmente davanti alla pagina di un libro, un foglio bianco mi fermo, lasciando alle spalle una lunga giornata. Nel silenzio, nel vuoto apparente, respiro dando voce alle cose, raccolgo i miei pensieri, e mi avvio ad un nuovo progetto, tracciando sul foglio nuove forme.
Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’“assenza” e della “mancanza”.
Mi manca soprattutto viaggiare, mettermi lo zaino in spalla ed uscire per poter liberamente o semplicemente camminare, riempirmi gli occhi di forme, luci, colori, percezioni: contrappunti di immagini e pensieri. Per ora ho sostituito la natura con il nostro giardino, le piantine germogliate dai semi che abbiamo piantato con mio figlio in balcone, o con la grande raccolta di libri che abbiamo in studio ma mi manca guardare, essere fuori dalla finestra, l’essere un “sistema” relazionato al mondo…
Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
Il mondo ripartirà ma non sarà cosa semplice. Dovremmo far memoria di tutto questo che ora vorremmo allontanare il più velocemente possibile, perché questa operazione sottrattiva, cui ci ha costretti e condotti il Covid-19 per tutti questi infiniti mesi, catalizzi, e lo dico proprio con tutta l’urgenza ed allarmismo del caso, la nostra stessa attenzione sulle fragilità del futuro. Mi preoccupa il fatto che dovremo scoprirci tutti capaci di guardare in faccia le priorità delle cose, in primis delle nostre vite e di far ricorso a nuove strutture, forme, modalità relazionali. Non so dire se siamo davvero pronti a questo grande cambiamento, ma dovremo senz’altro stringere i denti, rivedere i nostri stessi progetti per costruire il nostro futuro…
Marika Vicari (Vicenza, 1979) diplomata in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Venezia e laureata in Progettazione e Produzione delle Arti Visive disegna e dipinge, in piccolo e grande formato con grafite su carta e legno, alberi, boschi, paesaggi, il cammino ed il silenzio offrendo al pubblico un incontro personale ed esclusivo con la natura. Attraverso l’albero, guarda alle dinamiche della terra, del mondo registrandone le trasformazioni umane. Vive e lavora a Creazzo (VI). Dal 2005 è anche curatrice indipendente e Direttore Creativo di ART STAYS, Festival di Arti Contemporanee a Ptuj. Ha all’attivo numerose mostre personali e collettive in Europa, Stati Uniti, Messico, Brasile, Canada e Cina. Tra gli ultimi progetti realizzati e che sarà a breve presentato, la mostra Naturae da PUNTO SULL’ARTE di Varese, galleria di riferimento dell’artista. Collabora inoltre con Romberg Arte Contemporanea, Sist’art gallery e Galleria L’Occhio.
Mag19
Vincenzo Rusciano da Napoli
Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Credo che, in questo periodo, avere un tetto sopra la testa ed una situazione di relativa tranquillità personale, sia già tanto. Mi ha fatto sentire protetto.
Adesso però ho una grande voglia di riprendermi tutta la mia vita lavorativa e sociale e tutte le mie abitudini, anche di amicizia, a cui tengo. Tipo prendere il caffè con un amico prima di raggiungere il mio studio, che è nel centro storico di Napoli. La mia città, ricca di luci e di pregnanza storica, è una fonte di stimoli continua, importantissima per il mio lavoro. Ho fatto molta ricerca grafica e tenuto rapporti a distanza in questo periodo, ma ho l’esigenza di tornare in laboratorio ad operare.
Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell'”assenza” e della “mancanza”.
La libertà e l’ebbrezza che ne deriva è una cosa irrinunciabile. Mi mancano la mia libertà individuale e l’esperienza collettiva della comunità. Mi mancano mio padre e il suo orto, mia madre e il suo abbraccio. Mi manca il lato manuale, pratico e fisico della vita. Il rapporto ravvicinato dei miei studenti in Accademia. Il mare. I suoni e i rumori della mia città.
Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le tue “strategie” per instaurare nuove relazioni?
Musei e gallerie, in tal senso, hanno operato in maniera utile poiché certamente hanno continuato, in questo modo, a tenere i contatti con il loro pubblico e a promuovere i loro artisti. Personalmente, con amici galleristi e artisti ho mantenuto i contatti con lunghe telefonate, discussioni e riflessioni sulle ricadute di questo periodo nel mondo dell’arte. Consapevoli che nel breve e medio termine alcune cose cambieranno, resterà sempre forte la volontà di condividere un momento attorno all’opera, proprio in senso fisico e ravvicinato. È necessario, umano. È come la differenza tra ascoltare musica per radio e ascoltarla dal vivo.
Vincenzo Rusciano è nato nel 1973. Docente all’Accademia di Belle Arti di Brera e di Napoli. Le sue opere sono presenti in importanti collezioni pubbliche e private, italiane ed estere, tra cui: Collezione Madre – Museo d’arte contemporanea Donnaregina, Napoli; MAC – Museo d’Arte Contemporanea Lissone, MB; Collezione Museo della scultura contemporanea, Gubbio; Collezione Ernesto Esposito, Napoli; Collezione Galerie Ernst Hilger, Vienna; Collezione Claudia Gianferrari, Milano-Roma; Collezione Angela e Massimo Lauro, Napoli-Città della Pieve. Tra le recenti mostre personali: 2018 Slyline, Galleria Nicola Pedana, Caserta I. 2017 Nero Moto Perpetuo, Museo Civico di Santa Maria dei Servi, Città della Pieve (PG), I – organizzata da Il Giardino dei Lauri_Collezione Angela e Massimo Lauro. 2016 MAC: certain regard, Lissone Contemporary Art Museum, MB, I – curata da Alberto Zanchetta. 2016 Not so Bad in Capri, Villa San Michele Foundation, Anacapri, I – curata da Maurizio Siniscalco. 2016 Not so Bad, Annarumma Gallery, Napoli, I. 2015 Echi dal bianco, Lissone Contemporary Art Museum, MB, I – curata da Alberto Zanchetta. 2014 Sponda, Sant’Aniello Caponapoli Church, Naples, I – curata da Angela Tecce e Alberto Zanchetta. www.vincenzorusciano.it
Mag20