A Casa Tutti Bene. Lo sappiamo che per molti oggi non è così. C’è chi ha bisogno di più “rumore” attorno e chi, invece, di molto più silenzio rispetto a prima.
A Casa Tutti Bene è come una radio da lasciare accesa quando ne abbiamo voglia, da alzare a tutto volume se ci và, da abbassare o silenziare del tutto quando vogliamo stare da soli.
A Casa Tutti Bene non è, quindi, IL progetto di questa quarantena ma UN progetto, IL NOSTRO, unico perché composto da una “teoria” di artisti, uomini e donne di cultura che hanno scelto di condividere con noi il loro tempo, oggi, così dilatato e così compresso. Grazie.
In collaborazione con Espoarte.
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Giorgio Bonomi da Perugia
La tua nuova ritualità quotidiana… Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Onestamente il Coronavirus non ha cambiato di molto il mio lavoro, a parte la mobilità e l’allestimento di mostre. Non essendo un presenzialista né un mondano ho sempre praticato la lettura e lo studio, attività che in questi tempi ho aumentato, oltre a poter terminare il mio terzo volume sull’autoscatto fotografico, una ricerca più che decennale che ha prodotto i primi due volumi (Il corpo solitario. L’autoscatto nella fotografia contemporanea, Rubbettino editore), decine di presentazioni in musei e università, numerose mostre e il sorgere, presso il Musinf di Senigallia, dell’Archivio dell’Autoritratto Fotografico.
Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
Il futuro, quando tutto passerà, è ovviamente incerto. Ho paura che si consolidi l’uso “improprio” dei mezzi telematici che sono stati abbondantemente utilizzati in questi tempi, opportunamente per le scuole di ogni ordine e grado, mentre per quanto riguarda l’arte ho trovato fastidiosissimi le mostre online, il postare disegni e disegnini da parte di artisti, spesso meno che mediocri, che hanno trovato l’occasione di vedere il loro nome pubblicato, il discettare degli onnipresenti curatori e critici che, allergici alla lettura, ci hanno propinato ricette più o meno insulse e inutili. I social già avevano ristretto la vera socialità e la serietà culturale, facendo credere ai gonzi che “uno vale uno”, quando le differenze – materiali e intellettuali – non solo ci sono, ma aumentano, per cui speriamo che la pandemia non faccia aumentare i rapporti immateriali che tanto piacciono alla massa degli imbecilli (in senso latino), cioè a quelli che credono al complotto per la diffusione del virus o che vanno alle mostre solo per farsi i selfie davanti alle opere.
Stiamo capendo che si può vivere con meno mobilità?
Non è vero che stiamo comprendendo che si possa vivere con meno mobilità, solo abbiamo fatto di necessità virtù.
Il viaggio, l’incontro, il contatto, lo scambio fisico sono fondamentali per tutti gli uomini, tanto più per chi si occupa d’arte e, a maggior ragione, nella globalizzazione. Non si scambi, però, il viaggio, inteso come “grand tour” con i pur lodevoli scambi Erasmus o le inflazionate residenze, che permettono a giovani o meno di spostarsi dalla Corea al Brasile, dall’Australia alla Danimarca, per cui sanno tutto sulle innumerevoli biennali, sulle centinaia di giovani artisti la cui fama dura “l’espace d’un matin”, ma la cui ignoranza è direttamente proporzionale alle mostricine che curano le cui presentazioni di poche pagine costituiscono i loro titoli “scientifici”.
Giorgio Bonomi è nato a Roma nel 1946, dove si è laureato in Filosofia, vive a Perugia. Dopo un periodo di studi e scritti di filosofia politica, tra cui il libro Partito e rivoluzione in Gramsci (Feltrinelli, 1973) e vari articoli (in “il Manifesto”, “Les Tempes Modernes”, “Problemi del Socialismo”), si è dedicato all’arte contemporanea come critico, curatore (circa 300 mostre), saggista (più di 20 libri) e fondando e dirigendo la rivista “Titolo”. Ha diretto il CERP di Perugia dal 1994 al 1999; la Biennale di Scultura di Gubbio negli anni 1992, 1994, 2006, 2008; dal 2004 al 2007 ha diretto una Fondazione sulla pittura analitica con sedi a Chiavari e Milano; è curatore dell’Archivio dell’Autoritratto Fotografico di Senigallia; dirige la Collana Arte Contemporanea dell’Editore Rubbettino. Sta terminando il III volume, Il corpo solitario, della sua ricerca sull’Autoritratto fotografico che ha esaminato più di 2000 artisti di tutto il mondo.
Mag22
Francesco Candeloro da Venezia
Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Il mio lavoro si sta sviluppando in appunti, piccoli schizzi per fermare le idee. Disegni per possibili futuri lavori pittorici, non più progetti ben definiti pronti per essere realizzati nei laboratori dove lavoro il plexiglas. In parte è positivo, in parte mi sento in un tempo sospeso. Ma ho anche sviluppato una sorta di gioco creando opere effimere con oggetti di casa e quelle che più mi soddisfano le fotografo con il cellulare, cosa molto distante dal mio solito modo di fare.
Con quali oggetti e spazi del tuo quotidiano stai interagendo di più?
Interagisco molto nello spazio del salotto, con alcuni oggetti della cucina dalle presine per le pentole, i sotto pentola, i sotto piatti sino al grande tappeto presente nella stanza costruendo e smontando autoritratti fatti con questi oggetti.
Abbiamo a che fare con un tempo e uno spazio nuovi. Cosa stai scoprendo o riscoprendo di te?
La mia dipendenza da quello che faccio!
Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’ “assenza” e della “mancanza”
Mi manca andare in studio, stare lì, pensare solo al lavoro da fare o il muovermi nelle aziende dove realizzo gran parte delle mie opere.
Ad oggi quali sono state per te le conseguenze immediate della diffusione del Covid 19 sul tuo lavoro e quali pensi possono essere le conseguenze a lungo termine?
Un senso di attesa ma anche poter stare in una riflessione forzata che può essere la parte positiva perché non sempre sei costretto a rallentare, fermare il tuo modo di lavorare. Elaborare il tempo in un altro modo. Sarà tutto più limitato, le persone saranno meno disposte a incontri con molte persone, penso alle inaugurazioni, per autodifesa e per regole di distanziamento. Da una parte non ci saranno le inaugurazioni dove incontri tutti, diventeranno molteplici incontri con poche persone fino all’arrivo di un vaccino e alla sua distribuzione. Tutta l’economia si è fermata, spenderanno tutti meno. Ci sarà un forte rallentamento nell’acquisizione di opere d’arte da parte dei collezionisti.
Francesco Candeloro nasce nel 1974 a Venezia. L’artista pone al nucleo della sua personalissima ricerca le dimensioni della luce e del colore che, insieme a forma e segno, proporzione, ritmo e movimento, costituiscono chiavi di lettura per approfondire dinamiche temporali e spaziali. Per Candeloro infatti “l’arte è una visione del tempo”, nei diversi tipi di opere in cui si articola la sua produzione. In tutte la luce, naturale o artificiale, costituisce una componente essenziale, proietta ombre colorate e mutevoli nello spazio circostante, a dare vita ad un universo costituito da “visioni plurime”. Candeloro ha esposto internazionalmente in numerose mostre personali, collettive tra i quali il museo archeologico di Napoli, il Museo Fortuny a Venezia, il museo Cascavel per la biennale di Curitiba, alla Biennale della Fine del Mondo di Argentina e Cile, alla Fondazione Atchugary in Uruguay e a Hiroshima per la mostra Il segno del vuoto. L’ultimo progetto realizzato è Occhi del Tempo e Templi di Luce realizzato per i Musei Civici di Bassano del Grappa. www.francescocandeloro.org
Mag21
Giorgio Tentolini da Casalmaggiore (CR)
Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Devo dire che, per una serie di fortunate coincidenze e avendo ricavato lo studio in casa, non ho mai dovuto cambiare o anche solo rallentare la produzione, anzi, fin da subito, passati i primi momenti di smarrimento, mi son detto che avrei avuto due possibilità: adattarmi a questa nuova situazione, gettando le basi per una nuova visione del domani, o cambiare lavoro. Ho optato per la prima, approfittando del maggiore tempo libero per dedicarmi a nuovi canali di ricerca, nuove strategie di esposizione e per rivolgere ancora più attenzione e amore al mio operato, con l’idea fissa che l’unico modo per cadere in piedi è quello di innestare il turbo per farsi così trovare pronti al momento della riapertura.
Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’“assenza” e della “mancanza”.
Stiamo vivendo la fase 1 e tra pochi giorni ci aspetterà la nebulosa fase 2 (l’artista ha risposto alla nostra intervista il 3 maggio 2020, ndr)… Il periodo pre-virale sembra ormai lontano anni luce, il mantra “niente sarà come prima” accompagna ogni conversazione attuale e questo influenza la percezione del futuro. Mi manca il “contatto umano” e mi distrugge vivere “l’altro” come un possibile pericolo biologico. L’uomo si è evoluto grazie alla sua straordinaria adattabilità e quindi non ho dubbi ci abitueremo a questa nuova condizione. Da parte mia farò del mio meglio per essere a mia volta parte di questo nuovo presente. Ho voglia, come tutti, di ritornare ad esporre in un luogo fisico, circondato da un pubblico reale, finché questo non sarà di nuovo possibile sarò comunque felice di sfruttare i mezzi messi a disposizione e approfitterò delle nuove soluzioni espositive.
Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le tue “strategie” per instaurare nuove relazioni?
La prima cosa che ho fatto, scattata la reclusione, è stato di attivarmi anche in questo senso, aderendo a diverse iniziative; prima fra tutte, ho raccolto l’invito a partecipare ad una bellissima mostra virtuale presso la galleria Brun Fine Art in Old Bond Street a Londra (https://brunfineart.com/viewing-room/1-parnassos-giorgio-tentolini-an-online-exhibition/). In tempi record hanno realizzato una ricostruzione 3D degli spazi espositivi, il tutto accompagnato da un bellissimo catalogo ricco di immagini e testi critici. È stata inaugurata pochi giorni fa ma stiamo già raccogliendo ottimi riscontri. Penso sia stata un’ottima idea che sta già dando i suoi frutti. Anche le altre gallerie in Italia, America, Grecia e Francia si son subito attivate incrementando la vendita online e dedicandosi alla promozione del mio lavoro.
Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
Non voglio essere retorico, ma me lo immagino migliore, non voglio pensare diversamente. La storia ci insegna che le crisi hanno sempre portato a grandi passi in avanti, l’importante, in questa fase, è stringere i denti e resistere. Tutti ci siamo fermati e abbiamo detto “e ora cosa ne sarà di noi?”. Non possiamo saperlo, se ci limitiamo a registrare le informazioni attuali, non possiamo che cadere nella più cupa depressione. Rimaniamo focalizzati, dunque, pronti ad adattarci ai cambiamenti e alle difficoltà della ripartenza. Gli anni scorsi eravamo tutti vittime di un sistema iper accelerato, ora stiamo vivendo un momento che può darci la possibilità di rallentare e riflettere; facciamolo e tiriamo fuori delle idee, raccogliendo la sfida di farci trovare pronti e più forti di prima.
Giorgio Tentolini, Casalmaggiore (CR), 1978.
Dalla studiata sovrapposizione di ritagli su strati di rete metallica riemergono, con la consistenza di impalpabili visioni, le gradazioni chiaroscurali delle istantanee che lo scatto fotografico dell’artista ha sottratto al frastuono mediatico della contemporaneità: anatomie, volti di jeunes-filles e manichini (Presenze), soggetti della statuaria classica (Pagan Poetry) e la struttura architettonica di appartamenti (Immobili). Fin dai primi anni 2000, il suo approccio analitico alla visione lo porta suddividere l’immagine in livelli di luminosità, scanditi nell’acetato, nel plexiglass, nella carta nelle reti in pvc e nel tulle. Le opere in rete metallica (2016-2020) rappresentano l’apice di questa ricerca espressiva. Il gioco di intreccio, sfasatura e sovrapposizione dei moduli esagonali che compongono la maglia delle reti si trasforma nella trama percettiva attraverso la quale l’occhio coglie i tratti distintivi del soggetto, strutturato dalla stratificazione delle zone di luce e ombra. Vincitore del Premio Nocivelli, del Premio Rigamonti nell’ambito del Premio Arti Visive San Fedele di Milano, del Premio Paratissima Torino e Menzioni Speciali all’Arteam Cup della rivista Espoarte, l’artista ha esposto a Londra, Berlino, Amsterdam, nel Principato di Monaco, oltre che presso: il Palazzo del Monferrato di Alessandria, la Fondazione Dino Zoli di Forlì e il Palazzo della Ragione di Verona. Nel 2014 una sua opera entra nella collezione permanente del MAR di Ravenna. Nel 2018, come finalista del Premio Cairo, curato dalla rivista Arte, espone al Palazzo Reale di Milano. [Guendalina Belli]
La sua galleria di riferimento è Colossi Arte Contemporanea, Brescia.
www.giorgiotentolini.com
Mag21
Bianco-Valente da Napoli
Con quali oggetti e spazi del vostro quotidiano state interagendo di più?
Viviamo in un palazzo del Settecento nel centro storico di Napoli, le fondamenta dell’edificio lambiscono camere sepolcrali della città greca in cui riposano napoletani di duemilacinquecento anni fa. Si sono addormentati avendo negli occhi e nel cuore una città bellissima, chiassosa, asincrona, pervasa da grandi flussi di energia che ancora adesso giungono dalle caldere del Vesuvio e dei Campi Flegrei. A noi piace immaginarli da vivi, sazi di luce, come noi adesso. Si saranno ritrovati anche loro a riflettere su quale fosse il vero senso dell’esistenza, magari con lo sguardo perso nel cielo, oppure mentre sfregavano con le dita un muro di tufo giallo nel tentativo di lasciare un segno. Anche sulle loro mani saranno rimaste tracce di cenere vulcanica sfaldatasi dalla pietra.
Cosa vi manca? La vostra personale esperienza dell’“assenza” e della “mancanza”.
Per inerzia continuiamo ad immaginare un orizzonte temporale animato da consuetudini che, in questo momento, ci sono negate: abbracciare i familiari e gli amici, vivere nuovamente e senza disagio gli spazi pubblici, stringere le mani, viaggiare, tornare ad essere circondati dalle persone.
Quello che manca è la capacità mentale di riconnettere al presente questo orizzonte di tempo futuro che intravediamo, che apparentemente è a portata di mano, ma che continua a mantenersi distante, qualunque sia la direzione del passo che compiamo in questo tempo sospeso.
Abbiamo a che fare con un tempo e uno spazio nuovi. Cosa state scoprendo o riscoprendo di voi?
Ciò che ci offre in questo momento la vita è il tempo, l’elemento che più sembrava mancare nella nostra vita precedente. Bisogna valorizzare questo bene prezioso, utilizzandolo per ritrovare ciò che ci lega agli altri individui. Lo si può fare riattivando innanzitutto il legame profondo con se stessi: riflessione, introspezione, ricalibrare la percezione del mondo, permettendosi una volta tanto il lusso di diventarne l’unità di misura. Adesso abbiamo il tempo, possiamo farlo.
Bianco-Valente (Giovanna Bianco, Latronico, 1962 e Pino Valente, Napoli, 1967) vivono a Napoli dove si sono incontrati nel 1993. Iniziano il loro progetto artistico indagando dal punto di vista scientifico e filosofico la dualità corpo-mente, l’evoluzione dei modelli di interazione tra le forme di vita, la percezione, la trasmissione delle esperienze mediante il racconto e la scrittura. A questi studi è seguita un’evoluzione progettuale che mira a rendere visibili i nessi interpersonali. Esempi sono le installazioni che hanno interessato vari edifici storici e altri progetti incentrati sulla relazione fra persone, eventi e luoghi. Dal 2008 curano con Pasquale Campanella il progetto di arte pubblica A Cielo Aperto, sviluppato a Latronico, in Basilicata, perseguendo l’idea di lavorare alla costruzione di un museo diffuso all’aperto, in cui diverse opere permanenti dialogano con l’ambiente montano, e di intervenire nello spazio urbano con progettualità condivise e partecipate.
www.bianco-valente.com
Mag21
Giacinto Di Pietrantonio da Como
Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Come per tutti, mancano, per ora, occasioni di presenza fisica per vedere mostre, partecipare a conferenze, andare a trovare parenti, amici, insomma la socialità in presenza diretta, sostituita dalla socialità in presa diretta. Siamo invitati a partecipare a conferenze, chiacchierate via web. Devo dire che questo non mi dispiace più di tanto, mi ha portato a interagire con mezzi che prima frequentavo poco, un po’ per mancanza di tempo, un po’ per pigrizia. Cerco di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno e quindi, armato di ottimismo, cerco di approfondire anche le occasioni negative come questa del Covid-19 per volgerle in positivo. Solo reagendo, progettando in modo diverso se ne esce. La condizione in cui ci troviamo rimette al centro qualcosa che avevamo dimenticato o emarginato, il futuro, perché vivevamo in stato di eterno presente. La quarantena ci ha costretti a pensare al domani. Per quanto mi riguarda parlo sia in relazione al lavoro in arte che all’insegnamento. Anche in questo secondo caso la virtualità era finora sottovalutata e sottoutilizzata da me per primo, essere costretti a utilizzarla ci da alcuni vantaggi. Non dico che le lezioni online sono migliori delle lezioni in presenza di studenti e professori, solo che capire le possibilità del cosiddetto virtuale per poi utilizzare a fini didattici è un qualcosa in più non in meno, soprattutto per quando tutto tornerà alla “normalità”.
Con quali oggetti e spazi del tuo quotidiano stai interagendo di più?
Con le opere che ho in casa e in particolare con l’opera di Ugo La Pietra: Unità nella diversità realizzata nel 2011 in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia. È un’opera composta da 20 teste di ceramica ognuna rappresentante una regione italiana. Le opere che si hanno sono importanti, ma nel momento in cui le hai tutti i giorni sotto gli occhi finisci per farci l’abitudine e quasi per non vederle più. Ci vuole qualcosa che ti faccia scattare la molla di una nuova attenzione. Stando chiuso in casa mi son chiesto: Visto che non posso fare mostre fuori, perché non fare qualcosa con le opere di vari artisti amici che ho in casa? Così sono partito a fare una serie di video, in un primo momento pensandoli solo per i miei studenti dell’Accademia di Belle Arti di Brera, ma poi mi son detto: “Li faccio per tutti e li posto su youtube”. Li ho chiamati miti e mitologie dell’arte. Sono video in cui, partendo ogni volta da una testa-opera-regione, parlo di arte sia della regione stessa che dell’universo mondo, ma sempre in una prospettiva interdisciplinare. Ho scelto queste opere di La Pietra perché volevo fare qualcosa legato in maniera forte all’Italia, che ritengo, nel bene e nel male e scusate la retorica, essere il più bel paese del mondo, quello in cui, se non ci fossi nato, avrei scelto di vivere.
Ad oggi quali sono state per te le conseguenze immediate della diffusione del Covid-19 sul tuo lavoro e quali pensi possano essere le conseguenze a lungo termine?
Di rendermi ancor più reattivo e pensare progetti da poter fare da casa o fatti in casa. Difatti, dopo quelle delle regioni, inizierò a fare quelle sull’Italia, in ogni video partirò da un’Italia di Fabro, che affrontano ognuno argomenti diversi. Finite le Italie di Fabro includerò altre Italie come quelle di Salvo, o di Claire Fontaine e altri ancora. Poi passerò a fare dei video in cui parto da opere che rappresentano l’Europa e poi da quelle delle mappe mondo, naturalmente partendo da quelle di Boetti. Tutto ciò sempre all’interno di quello che chiamo: miti e mitologie dell’arte. Altra cosa che sto preparando sono mostre online sempre con le opere che ho in casa, ricombinandole in mostre complesse. Ci sto lavorando, sia perché insieme alle opere d’arte metterò nell’allestimento anche altre cose che ho in casa e sia perché sto ragionando come allestirle. In una casa e per un allestimento continuo temporaneo auto-prodotto che deve essere restituito-fruito online, la presentazione è diversa da una fatta per e in un museo o galleria. La condizione attuale mi porta anche a interrogarmi su cosa e come lavorano gli artisti in questo periodo. Per questo approfitto per fare una chiamata alle armi, invitando chi vuole a spedirmi immagini e testi prodotti al mio indirizzo: giacinto.dipietrantonio@gmail.com. Vorrei ragionarci sopra e farne mostre e pubblicazioni. Insomma vivo una fase molto sperimentale i cui risultati poi proporrò anche a musei, fondazioni, gallerie, case editrici. A tutto questo aggiungo che sto rifinendo il libro: Il peccato originale dell’arte a cui da qualche anno sto lavorando con Giuseppe Stampone. Badate non è un libro su Stampone, ma con Stampone in cui io scrivo i testi e lui disegna le immagini.
Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le tue “strategie” per instaurare nuove relazioni?
Musei e gallerie hanno mostrato anche una forte progettualità come ad esempio la GAMeC di Bergamo in cui il direttore Lorenzo Giusti ha creato Radio GAMeC che non è importante in quanto attiva ora, o almeno non solo per questo, ma in quanto è una cosa che rimane anche dopo, lo stesso dicasi per l’attivazione di spazio laboratorio per gli artisti del MAMBO di Bologna attivato dal direttore Lorenzo Balbi, altri esempi potrebbero seguire. La positività sta nel creare ora dispositivi per il dopo che forse non sarebbero stati creati se non ci fossimo trovati in una situazione di emergenza. Sfatiamo anche questa storia dei visitatori e distanziamento per i musei d’arte moderna e contemporanea, fondazioni e gallerie d’arte, perché si tratta di luoghi che, fatta salvo per i grandi musei come Tate, Pompidou, MoMA, e alcuni altri, dopo le inaugurazioni sono luoghi poco frequentati e quindi, da questo punto di vista, si troveranno avvantaggiati, perché sono già abituati al poco pubblico. Solo che finora c’era la preoccupazione di attirare pubblico in luoghi in cui il grande pubblico non va, mentre adesso non avendo più questa preoccupazione si potrà dedicare ancora più energie alla sperimentazione e alla ricerca che è ciò che alla lunga paga. Una persona, un Paese, un Mondo muore quando finisce di ricercare, sperimentare, costruire il futuro. In tutto ciò anche le gallerie d’arte avranno un ruolo determinante, perché se da un lato stanno potenziando una parte del lavoro sul digitale è anche vero che le gallerie si reggono sulle vendite e quindi il loro fine e dell’artista che espongono è il collezionista, oltre che critici e curatori. D’altronde, già da tempo, molte delle vendite delle opere avvengono in buona parte al telefono e in molti casi senza che il collezionista si rechi a vedere l’opera. Le gallerie hanno un pubblico ancora più ridotto, mentre quello più copioso lo trovano in gran parte nelle fiere. Manifestazioni che, data la loro breve durata, sono un concentrato di persone, e saranno quelle che più soffriranno della situazione almeno a breve termine. Allora le gallerie torneranno a lavorare molto più nella loro sede, destinando maggior attenzione al loro poco pubblico, anche perché va considerato che nelle gallerie il pubblico non si conta, si pesa. Ciò dimostrato dal fatto che se i musei, le fondazioni danno sempre informazioni sul numero di visitatori e la stessa stampa si è ridotta da anni a parlare sempre più del numero dei visitatori come metro di riuscita di un’esposizione, invece dei contenuti della stessa, ciò non accade per le gallerie private in cui il numero dei visitatori ha un valore molto relativo. Per questo le gallerie dovranno tornare a essere un luogo di dibattito, oltre che di compravendita.
Abbiamo a che fare con un tempo e uno spazio nuovi. Cosa stai scoprendo o riscoprendo di te?
Come sempre e come in tutto non è la chiusura a preoccuparci, ma l’apertura, o meglio la riapertura a seguito del reale vuoto interno ed esterno in cui ci ha chiuso il Covid-19. L’arte con le strade e le piazze dei quadri di de Chirico ci aveva già dato coscienza di questo vuoto, ora che siamo passati dalla rappresentazione alla realtà, possiamo capire a cosa serva l’arte, come sempre a metterci sull’avviso e quindi prevenire e pensare al e il futuro. L’arte ha da sempre una funzione di antenna e prefigurazione come dimostra Michelangelo Pistoletto con l’idea del suo Terzo Paradiso volta a riconciliare natura e cultura. Ciò è possibile solo se continuiamo a cercarci e creare comunità. Tuttavia, oggi siamo intenti a gestire non solo la categoria chiuso-aperto, ma pure quella del vicino-lontano, la misura, da sempre altro tema dell’arte a partire da quella tra artista e osservatore anzi tra opera e fruitore come dimostrano le opere di Giulio Paolini a partire da Giovane che guarda Lorenzo Lotto. Si tratta di questioni che modificheranno la fruizione dell’arte, almeno a breve termine? Chi ci guadagnerà in tutto ciò? Certamente la fruizione aumentata dell’arte attraverso le pratiche digitali, finora usate in maniera ancora “primitiva”, tenendo, però, ben presente che, alla lunga, non potrà sostituire la tradizionale fruizione in diretta, perché un quadro visto dal vero non è la stessa cosa vista in digitale, perché ci sono delle forme d’arte partecipative con presenza corporale che il digitale può sostituire solo in parte, anzi aiuterà a implementare il desiderio di fruibilità diretta. Questo perché l’essere umano è animale sociale per eccellenza che ha necessità, come dell’aria, di relazionalità in un tempo oramai sospeso, rallentato e dilatato.
Giacinto Di Pietrantonio è Critico, Curatore d’arte e Docente. Insegna Storia dell’Arte Contemporanea, Teoria e Storia dei Metodi di Rappresentazione e Sistemi Editoriali per l’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano. Dal 1986 al 1992 è stato redattore e vicedirettore della rivista Flash Art, ha curato mostre in Italia e all’estero come 3 edizioni di Volpaia, 6 edizioni di Fuori Uso a Pescara, mostra d’arte russa alla Biennale di Venezia, 1993 e Quadriennale di Roma 2006. Dal 2000 al 2017 è stato Direttore della GAMeC (Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea) di Bergamo di cui ora è Consigliere, nel 2003 ha fondato l’AMACI. Negli anni 2018-2019 ha diretto la residenza artistica BoCs Art, Cosenza. ha ricevuto vari premi tra cui: Premio alla Carriera dell’AMA (Associazione Almae Matris Alumni) dell’ateneo bolognese nel 2008 e Premio Capitani della Cultura dell’anno 2016.
Mag22