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Nadia Stefanel da Correggio (RE)
La tua nuova ritualità quotidiana…
Il lockdown in Italia ci ha sorpresi una sera di inizio marzo; le avvisaglie c’erano già state dal 24 febbraio con la chiusura totale delle scuole (io ho due figlie di 14 e 11 anni) e poco dopo del mondo dell’Arte, ma nelle nostre teste nulla faceva presagire che sarebbe stato solo l’inizio di un cambio radicale della nostra quotidianità. Così ci siamo ritrovati tutti e quattro in casa (per fortuna con un grande giardino) a suddividerci spazi vitali, metrature, stanze, e connessione wifi. A parte lo shock iniziale, è stato fondamentale darsi dei programmi quotidiani del #masttodo, lasciare sì che l’otium romano liberasse creatività, ricaricando le energie, ma che la malinconia di sapere che, per un bel po’, la normalità non sarebbe stata possibile e che questa “inerzia” non si impadronisse completamente di noi. In soldoni regole di vita precise (dall’alzarsi presto al mattino allo stabilire le attività da fare in casa e per il lavoro o la scuola durante la giornata). È stato fondamentale. Perché, vi posso assicurare, che lavorare in smart working con i figli al seguito (anche se grandi) con le loro lezioni online è un’impresa da Indiana Jones.
Abbiamo a che fare con un tempo e uno spazio nuovi. Cosa stai scoprendo o riscoprendo di te?
Dopo un primo momento di incredulità e stupore per la Pandemia e il lockdown, ho cercato di utilizzare il tempo a disposizione in maniera costruttiva, per non perdermi, per farne un arricchimento (forzoso ma utile), per uscirne più pronta di prima, più formata. E così ho rispolverato vecchi libri di storia dell’Arte, riguardato le opere d’arte degli ultimi 50 anni (1970-2020), mi sono iscritta ad un corso online al MoMA Museum, cimentata in un progetto video in inglese sul raccontare la storia del Coronavirus, in modo ironico, attraverso l’Arte per la Camera di Commercio Italiana di Singapore, preso appunti, letto libri di narrativa, e fatto soprattutto dello scouting di immagini d’Arte in rete. Questa abilità mi era stata insegnata all’Università, dal mio Prof Arturo Carlo Quintavalle. Organizzava corsi monografici con 1000 immagini di opere d’arte in bianco e nero per volta (le fotocopie a colori erano costosissime) da imparare a memoria e riconoscere, durante gli esami, come in un quiz televisivo. Allora sembrava un delirio, oggi invece mi ha permesso di ampliare la mia ricezione visiva con un ampio patrimonio di collegamenti. Una ricerca diventata passione.
Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’“assenza” e della “mancanza”.
Per una abituata come me ad avere sempre la valigia in mano, spostandomi continuamente fra luoghi di lavoro e luoghi d’arte con ogni mezzo di trasporto, con la vocazione intrinseca del viaggiare come mezzo di conoscenza dell’altro e delle altre culture, lo stop è stato come una secchiata di acqua fredda in faccia. Soprattutto se a questo si aggiunge la necessità di presenza, contatti che mi contraddistingue da sempre nei rapporti, dove lo stare assieme lavorando, condividendo vis a vis opinioni, pensieri, discussioni, chiacchiere e risate è la base del mio e del nostro mondo.
Quindi cosa mi manca? Proprio questo. Viaggiare per lavoro, per conoscere e vedere e la fisicità di una stretta di mano o di un abbraccio, ma non a 2 mt di distanza.
Mi manca lavorare gomito a gomito con gli artisti, i curatori, per realizzare il progetto, mi manca il lavoro sul campo, come il fare nottata per essere pronti per il vernissage del giorno dopo, il pubblico alle mostre, il sapore di questo universo.
Ora è tutto virtuale, certo. Ma, al momento, nonostante gli sforzi immensi da parte di tutti, dalle istituzioni, ai musei, dalle gallerie, ai singoli artisti di mettersi in rete, online, a mio avviso, non è la stessa cosa.
Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le tue “strategie” per instaurare nuove relazioni?
Per quanto riguarda la Fondazione Dino Zoli, con Monica Zoli, abbiamo deciso di seguire, da subito, l’hashtag #iorestoacasa del MIBAC e di cimentarci con un’attività social più impattante sui nostri profili (Facebook, Instagram e Twitter). Ho suddiviso l’attività in 3 sezioni: visita virtuale e approfondimenti relativi alla mostra “Profili cuciti di santità” di Lucia Bubilda Nanni in essere (chiusa un giorno dopo il vernissage), il racconto delle opere della collezione permanente della Fondazione attraverso parole chiave quali Geometrie, Intimità, Luce, Cielo, Porto e Alfabeti ed incursioni nel recente passato con le esposizioni e i progetti realizzati dal 2017 al 2019.
Inoltre abbiamo chiesto agli artisti e curatori che avevano collaborato con la Dino Zoli Group di realizzare piccole clip d’arte da postare per raccontare il progetto realizzato insieme e tenere vivo così il rapporto con il nostro pubblico, come fossero momenti di sollievo in una quotidianità costellata da restrizioni e divieti.
Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
Purtroppo non ho ancora un’idea precisa di cosa ci aspetterà nel dopo. A livello economico credo possa essere una débacle per tutto il settore, ma credo che come in ogni crisi epocale la capacità del mondo dell’Arte sia quella di liberare il meglio proprio sotto stress, di mettere in circolo una potente creatività intesa come capacità di innovare attraverso l’immaginazione e citando Rodari, quella creatività che è insita nella natura umana ed è quindi alla portata di tutti. Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo.
Ed è quello che vogliamo fare come Fondazione Dino Zoli in questo forzato stand by, cercando di intercettare quali possano essere le tendenze della prossima, nuova, normalità. Perché sicuramente anche il mondo dell’Arte e della Cultura ripartirà.
Nadia Stefanel: vivo e lavoro tra Correggio (RE) e Forlì. Dopo 11 anni alla direzione del Correggio Art Home, centro studi dedicato ad Antonio Allegri, ho incrociato sul mio cammino il Sig. Dino Zoli e dal 2017 sono Cultural and Communication Manager presso Dino Zoli Group e Direttore della Fondazione Dino Zoli. Da anni collaboro strettamente anche con l’artista Omar Galliani.
In Fondazione mi occupo della programmazione culturale in Italia e a Singapore, dove una delle aziende del Gruppo, la DZ Engineering dal 2011 realizza gli impianti di illuminazione e di comunicazione di pista sul circuito del GP F1, e della curatela di alcune mostre.
Il lockdown ha sospeso nell’aria l’ultimo nostro progetto espositivo Who’s Next (sostenuto dalla Dino Zoli Textile) dedicato a Lucia Bubilda Nanni (Profili cuciti di santità), un percorso attraverso la vita di alcune Sante con opere realizzate interamente con la macchina da cucire da questa dotata artista.
fondazionedinozoli.com
Mag14
Veronica Liuzzi da Taranto
Francesco Paolo Cosola da Bitonto (BA)
La tua nuova ritualità quotidiana…
Veronica Liuzzi: Ho cercato di tirare fuori il “buono” da questo periodo, sfruttare il tempo, colmandolo di studio, ricerca, riflessione.
Lavoro tutti i giorni a contatto con la tecnologia e per questo non è troppo inconsueto il passare molto tempo al chiuso e davanti ad un computer. Ho iniziato ad interfacciare l’arte con la tecnologia quando ero ancora una studentessa e questo mi ha portato, nel tempo, a dedicare un notevole numero di ore al lavoro “in studio”, nella mia casa.
La tecnologia e il digitale per me hanno sempre rappresentato una potenzialità, piuttosto che un passivo e soffocante mezzo di alienazione. Hanno permesso di inebriare il mio sguardo, fondere profonde riflessioni ad un elevato senso estetico, giocare con il potere generatore dei numeri, plasmare la luce con le mie stesse mani.
È così, attraverso la luce e il digitale, che diviene possibile anche espandere lo spazio fisico di una stanza: le mie pareti sono spesso divenute scenari di performance e scenografie multimediali e, nel periodo di quarantena, la casa diviene il luogo dell’arte immersiva e della sperimentazione.
Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Francesco Paolo Cosola: La diffusione dell’epidemia e la relativa restrizione di spostamento, seppur modificando i programmi in lista, le modalità, non hanno così sconvolto il mio metodo di lavoro. Da sempre conduco la mia ricerca studiando e, parallelamente, lavoro con i mezzi che contraddistinguono le mie opere. Ho semplicemente “guardato l’altra faccia della Luna”, come io e Veronica Liuzzi abbiamo avuto modo di testimoniare nella video-installazione “1959” prodotta nel 2018: ho preso in prestito questa grande “libertà” concessa (anche se può sembrare un controsenso considerando il lockdown che stiamo affrontando da diverse settimane), facendone motivo di confronto su ciò che ci ruota attorno. Ogni parola, gesto, ha un’eco diversa e non solo perché le strade sono deserte.
Il tempo così dilatato della quarantena, ha permesso di sfruttare questa occasione rendendola più produttiva, analitica, ha concesso di potenziare quei progetti purtroppo bloccati dall’inevitabile crisi. Le notizie in continuo aggiornamento, gli approfondimenti scientifici sulle cause e le conseguenze che tutto questo genera, hanno permesso di valutare e di produrre inediti lavori di arte partecipata che, come l’installazione immersiva TREND, si pongono come spunti di riflessione rispetto ciò a cui prima non si dava il giusto valore.
Con quali oggetti e spazi del tuo quotidiano stai interagendo di più?
Francesco Paolo Cosola: Nella mia ricerca personale, ho sempre lavorato utilizzando oggetti di cui sono già in possesso. Certamente, considerate le limitazioni prodotte dalle direttive dei DPCM, è stato necessario tradurre diversamente alcuni approcci sotto forma di bozze, continuando a sfruttare maggiormente le potenzialità del digitale.
Ognuno di noi oggi cerca il proprio spazio, più di prima. È uno spazio dove le mura sono solo probabilmente un confine formale; è una vita che si sviluppa, si riappropria dei sensi e mette a dura prova la risonanza del percepire. Citando Alejandro Jodorowsky, infatti: “la realtà di ogni giorno non è rigida o, per meglio dire lo è soltanto nella nostra mente, nel concetto che abbiamo di essa. Se ci sentiamo legati, stanchi di muoverci sempre all’interno dello stesso ambiente, abbiamo il potere di cambiare! Chi ha detto che è impossibile?”.
Il potere della creatività, della capacità dunque di trovare una soluzione alternativa a ciò che oggi è sbarrato, insegna a muoverci in una realtà duttile, in seno alla quale si può produrre qualsiasi mutamento, qualsiasi trasformazione. È da qui, dalle stanze fisiche e mentali, che bisogna ripartire.
Ad oggi quali sono state per te le conseguenze immediate della diffusione del Covid-19 sul tuo lavoro e quali pensi possano essere le conseguenze a lungo termine?
Veronica Liuzzi: Il mio lavoro prevede nella maggior parte dei casi il coinvolgimento di un pubblico. L’arte digitale immersiva, l’installazione ambientale, la performance multimediale live includono sempre un’interazione con lo spettatore, si potrebbe quasi dire che vivano grazie alla presenza altrui. Talvolta, anche nella stessa opera (come nel caso della performance PARADE) più persone calcano insieme la scena.
Adesso è necessario ripensare – almeno per il breve periodo – questo rapporto, immaginare e sperimentare nuove e funzionali forme di relazione con il pubblico. E ancora, creare “a distanza”, così come è successo con Francesco Paolo Cosola e i lavori nati in quarantena. Al momento abbiamo molti progetti in sospeso, personali e in collaborazione, come il progetto Limpa, nascente StartUp per l’arte multimediale e performativa, momentaneamente sopita e in attesa di ripresa.
Forse qualcosa dovrà essere rimodulato, trasformato.
Ma l’arte è figlia della storia ed un evento di questa portata ha delle inevitabili conseguenze. Alcune negative. Altre aprono possibilità di cambiamento, interrogativi, riflessioni.
Un nuovo “istinto di sopravvivenza” da applicarsi alla produzione artistica che, come sappiamo, verte in condizioni non troppo favorevoli già da tempo. La figura dell’artista vive un momento di notevole criticità, viaggiando su una linea sottile che divide collasso e trasformazione.
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Veronica Liuzzi è un’artista multimediale originaria della provincia di Taranto.
Il suo lavoro spazia tra media differenti. Lavora alla produzione di progetti multimediali che pongono grande attenzione alle problematiche del corpo nel contesto sociale-ambientale e vedono l’interazione di performance e tecnologia, attraverso la produzione di videoproiezioni, pseudo-ologrammi integrati all’opera e allo spettacolo dal vivo, algoritmi impiegati nella produzione sonora o scenografica e sistemi informatici utilizzati per la costruzione di scenari interattivi.
Lavora, inoltre, alla produzione di videoinstallazioni ambientali immersive. Tra gli ultimi progetti LIEVE performance nata per Matera2019 ed esposta al Museo Macro di Roma e DIARIO DI 103 QUARANTENE, embrione di opera immersiva presto “archivio” del periodo.
www.veronicaliuzzi.it
Francesco Paolo Cosola, artista extramediale di Bitonto (BA). La sua ricerca artistica penetra il tessuto sociale di provenienza, indaga le forme espressive, le impasta in un concetto artistico dalle forme diverse. Utilizza la materia della luce, ma anche quella pastosa dei materiali caratteristici della propria terra, in una ritualità mista tra chimica e devozione. Attraverso le sue installazioni è come se prendesse forma una nuova “religione”, un richiamo alle antiche tradizioni, dove “religo” significa mettere vicine le cose lontane. Intento dell’artista è, quindi, colmare una distanza tra ciò che è terreno è ciò che non lo è.” [D. Uria]. Tra i suoi ultimi lavori T, short documentario e TREND, installazione immersiva prodotta con Veronica Liuzzi, entrambi un monito sull’importanza delle memorie.
Mag14
Davide Mariani da Sassari
Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Da quando è scattato il lockdown ho dovuto adattare il mio modus operandi alla nuova situazione, trascorrendo molto più tempo davanti al computer e al telefono.
Lo smart working ha i suoi pro e contro, ma credo che la parte più difficile per me sia stata quella relativa al coordinamento del nuovo allestimento del museo (Stazione dell’Arte di Ulassai, in Sardegna, ndr). Prima della chiusura totale eravamo infatti impegnati nel realizzare un percorso antologico dedicato a Maria Lai, particolarmente ambizioso, in quanto caratterizzato da diversi elementi che amplificano e consentono di addentrarsi in maniera unica e profonda nella sua opera. Per questo motivo e in virtù della mia spiccata pignoleria, mi è costato parecchio non esser stato presente in certe fasi, come avrei voluto, anche se abbiamo ancora del lavoro da fare e sono certo che riuscirò, quanto prima, a verificare di persona la rispondenza delle prime installazioni rispetto a quanto progettato.
Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le tue “strategie” per instaurare nuove relazioni?
Quando l’8 marzo abbiamo appreso la notizia che tutti i musei in Italia avrebbero chiuso per contenere l’emergenza, ho pensato che fosse necessario fin da subito dare un segnale importante. E così, la sera stessa, abbiamo lanciato una iniziativa virtuale che ha preso il nome di #ProssimaFermata, in linea con lo spirito che da sempre, per volontà di Maria Lai, ha contraddistinto la Stazione dell’Arte. Sono ormai trascorse nove settimane da quando abbiamo dato il via al format e devo dire che le soddisfazioni non sono mancate perché il museo si è confermato come l’istituzione sarda più seguita sui social, sia su facebook sia su instagram. Un segnale molto importante di come il messaggio artistico di Maria Lai sia fonte di ispirazione forse e soprattutto anche in momenti così difficili. Il 21 marzo abbiamo poi presentato il cortometraggio inedito “Ulassai. Una Stazione per l’Arte”, dedicato alle iniziative organizzate della Fondazione Stazione dell’Arte durante il centenario dell’artista, mentre il 22 aprile abbiamo lanciato la prima mostra online su Maria Lai. Il percorso espositivo, disponibile sulla nuova piattaforma www.stazionedellartexperience.com, si compone di oltre 20 opere autografe, alcuni lavori presentati per la prima volta al pubblico e un videoracconto prodotto appositamente per l’esposizione. La mostra è nata con l’intento di mettere in evidenza l’attitudine dell’artista a riflettere su macrocosmi a partire da microcosmi, facendo di Ulassai, il suo paese natale costantemente minacciato da frane, una metafora del mondo. E devo dire che questa metafora oggi torna più forte che mai adesso che le traiettorie comunicative “da lontanissimo e da vicinissimo’’, da sempre al centro della sua produzione, si ritrovano nella nuova dimensione della lontananza fisica e prossimità virtuale che ci regala la sua arte online. In tutti i casi, non vediamo l’ora di riprendere la programmazione reale, fatta di numerosi progetti inediti: dalla personale di un grande artista sardo a una mostra collettiva che mette insieme artisti di generazioni differenti accumunati dall’interesse per un linguaggio di carattere universale.
Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
Non è semplice immaginare come sarà il mondo post-pandemia. A dire il vero, spero solo una cosa, che questa esperienza possa servirci per ricordarci, una volta di più, che alla fine siamo tutti uguali. Al COVID-19 non importa quanto è grande la tua casa, quanti soldi hai in banca o quante macchine hai in garage. Abbiamo assistito al contagio di reali, politici, governanti e, allo stesso tempo, sono morti scrittori, cantanti, intellettuali, critici e, naturalmente, le cosiddette persone comuni. Ecco, sarà banale, ma spero che la gente possa riflettere su questo. Siamo stati travolti da una frana, per utilizzare una metafora tanto cara a Maria Lai, e per riprendere le nostre vite in mano dobbiamo necessariamente fare i conti con quanto accaduto. In questo sono sicuro che l’arte potrà giocare un ruolo importante, consentendoci di compiere nuovi ragionamenti e valutazioni in merito.
Quando tutto questo finirà: una cosa da fare e una da non fare mai più.
Sono sempre stato molto fisico nei rapporti quindi per prima cosa, quando tutto sarà finito, vorrò riabbracciare le persone a me care. Mi piace il contatto, trovo che stringere forte una persona amata sia, ora più che mai, qualcosa di fondamentale. A questo proposito, stiamo lavorando, con un architetto di fama internazionale, ad un progetto molto interessante, di cui ancora non posso svelare nulla, se non dirvi che sarà davvero intenso. Per quanto riguarda una cosa da non fare mai più invece, in generale, direi rimandare. Quel famoso detto “chi ha tempo non aspetti tempo” mi sembra particolarmente azzeccato! Sicuramente cercherò di sfruttare al meglio le occasioni che mi si prospetteranno, almeno spero.
Davide Mariani, classe 1985, storico dell’arte e curatore, è dottore di ricerca in Storia dell’arte contemporanea. I suoi interessi di ricerca riguardano principalmente l’arte prodotta nello spazio pubblico. Tra i suoi ultimi saggi Maria Lai. L’arte ci prende per mano. Incontrare e partecipare (5 Continents, 2019). Dal mese di dicembre 2018 è il direttore del museo Stazione dell’Arte di Ulassai dedicato a Maria Lai (Ulassai, 1919 – Cardedu, 2013). Di recente ha curato le mostre Maria Lai. Art in Public Space (Sassari, 2018), Maria Lai. Sguardo Opera Pensiero (Ulassai, 2018), Pane quotidiano (Ulassai, 2019), Tenendo per mano l’ombra (Ulassai, 2019), Maria Lai. Suivez le rythme (Parigi, 2019) Lente sul mondo (Ulassai, 2019) e la performance Cuore Mio di Marcello Maloberti (Roma-Ulassai, 2019). www.stazionedellartexperience.com
Mag14
Thomas Scalco da Vicenza
Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Inizialmente la situazione mi ha preso un po’ in contropiede, come per molti del resto.
Quando è iniziata la quarantena avevo da poco terminato di trasferire quasi tutti i materiali da casa al nuovo studio, sito in un altro paese e, quindi, improvvisamente irraggiungibile. La mia fortuna è stata nell’aver deciso di tenere a casa qualche colore e dei pennelli, ma soprattutto carte, matite e tutto il materiale grafico, cosa che mi ha permesso di sopravvivere tramite la pratica del disegno.
Questa costrizione, poi unita al blocco dei progetti in corso e quindi senza scopi nell’immediato, senza distrazioni esterne, mi ha permesso paradossalmente di disegnare con un’intensità che non vivevo da tempo, priva di progettualità, in silenzio e concentrazione quasi come se si trattasse di una forma di “meditazione”. Curiosamente ora mentre scrivo mi è tornata alla mente l’immagine di Jung in ritiro nella torre di Bollingen.
Abbiamo a che fare con un tempo e uno spazio nuovi. Cosa stai scoprendo o riscoprendo di te?
In primo luogo più silenzio, un silenzio intenso e vivo che dalla notte si è esteso al giorno.
Poi un nuovo rapporto con gli spazi, poiché viaggiando molto sono spesso fuori città.
È interessante come questa chiusura, imponendoci uno stop, ci abbia portato a riaprirci verso il nostro luogo di appartenenza, il paese o il quartiere, obbligandoci a fare riferimento a quanto ci è prossimo, quelle cose sotto gli occhi a cui vuoi per fretta, vuoi per noncuranza prima non facevamo caso: torna agli occhi l’essenziale… ma, al contempo, dobbiamo sopportare gli strilli dei figli dei vicini, pause nel silenzio di cui parlavo poco fa.
Sto leggendo molto.
Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’“assenza” e della “mancanza”.
Per quanto il disegno e la lettura mi abbiano permesso di evadere, mi mancano tremendamente gli spazi ampi, i boschi, la montagna. Le escursioni, il poter uscire e vagare senza meta.
La mancanza, e questo credo valga per chiunque, mi ha sicuramente portato a rivalutare tutto, attribuendo valori diversi a situazioni che prima avrei posto sullo stesso piano. Il pregio di queste occasioni di “distacco dal mondo” è che desideri e obbiettivi si riformulano gradualmente, il superfluo delle nostre vite tende a riemergere in quanto tale e ad essere messo da parte.
Come immagini il mondo quando ripartirà?
Questa crisi viene descritta come l’occasione di cui avevamo bisogno per cambiare tutto, rimettere in discussione la nostra società, il nostro rapporto con il mondo e potrebbe davvero essere la doccia fredda che ci farà riaprire gli occhi. Vorrei davvero che fosse così ma, se devo essere sincero, non ho grandi aspettative, trovo che il cambiamento di opinioni e i vari ripensamenti di cui si parla ormai da due mesi siano strettamente legati al qui e ora e che, qualora ce ne venisse data l’occasione, ritorneremmo a fare quanto facevamo prima.
Sicuramente appena potremo ricominciare a muoverci, la distanza, con cui dovremo convivere a lungo, sarà uno dei risvolti più evidenti.
Thomas Scalco è nato a Vicenza, dove vive e lavora, nel 1987. Dopo aver conseguito il diploma di secondo livello in pittura presso l’Accademia di Belle arti di Venezia nel 2014, è stato tra i finalisti al Premio Lissone dello stesso anno, vincitore del primo premio Under30 ad Arteam Cup nel 2015, invitato al 57° Premio Bugatti-Segantini, finalista al Premio Arti Visive San Fedele nel 2017. In seguito è stato selezionato per il premio Level 0 da parte della G.A.M. di Verona ad Art Verona 2018 e vincitore del Premio miglior artista under35 a Setup Art Fair nel 2019.
Tra le esposizioni recenti, sospese temporaneamente a causa della pandemia, l’intervento installativo Frammenti presso la G.A.M. di Verona e la personale Silēre presso Villa Contemporanea a Monza.
Le sue gallerie di riferimento sono: Villa Contemporanea, Monza; Luisa Catucci Gallery, Berlino; Superstudiolo, Bergamo. www.scalcothomas.com
Mag14
Vincenzo Marsiglia da Soncino (CR)
La tua nuova ritualità quotidiana…
La ritualità che ha sempre fatto parte del mio essere, ora è ancora più accentuata e mi sta affascinando ancor di più. Nella mia mente affiora un ricordo bellissimo di un documentario riguardante Roman Opalka, che tutte le mattine seguiva lo stesso rituale, prendeva il barattolino di acrilico e con il suo piccolo pennello continuava il suo contare tramite la tela; ho, quindi, questa visione anche di me, soprattutto nell’ultimo mese mi confronto con questo mio rituale lavorativo e di vita, reclusa ma di grande meditazione e creatività.
Con quali oggetti e spazi del tuo quotidiano stai interagendo di più?
Il mio quotidiano è svolto principalmente nel mio studio di casa, dove ho avuto la possibilità di poter vivere ancor di più l’ambiente, l’architettura e la bellezza di ricevere luce naturale. Per quanto concerne gli oggetti, in questo ultimo periodo sono maggiormente oggetti di lavoro come computer e iPad con le mie applicazioni sviluppate appositamente, che peraltro sono i mezzi che hanno supportato il mio progetto, nato in quarantena, dal titolo #unritrattoperunirci.
Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le tue “strategie” per instaurare nuove relazioni?
Lavorando da anni con i mezzi tecnologici, ho appreso solo in questo momento che tutto può continuare in un determinato periodo anche grazie a questi supporti, mi dispiace solamente che sia avvenuto attraverso una situazione così tragica. La digitalizzazione in un certo senso ha sbloccato alcune visioni, grazie a questi mezzi virtuali si possono creare curiosità e dibattiti soprattutto sui social. Possiamo dire che l’approccio al mondo artistico attraverso il virtuale, ha fornito un contributo forte, instaurando relazioni connesse una con l’altra, è necessario quindi fare tesoro di queste esperienze virtuali per poter poi generare bellezza reale anche quando l’emergenza, speriamo presto, si sarà esaurita.
Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
Voglio immaginare in modo positivo, anche se ci vorrà del tempo prima che riprenderemo la fiducia su ogni cosa, però voglio credere che ritroveremo un mondo più solidale e più concreto, negli ultimi anni avevamo perso alcuni valori e principi importanti della nostra esistenza e voglio dire che vi sarà un nuovo rinascimento che si diffonderà su tutto quello che creeremo da oggi in poi.
Vincenzo Marsiglia nasce nel 1972 a Belvedere Marittimo (CS). I primi approcci all’arte risalgono agli anni di studio, inizialmente ad Imperia presso l’Istituto Statale d’Arte, poi all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, dove consegue la laurea in Pittura. Ha iniziato poi ad esporre a metà degli Anni ’90, partecipando a mostre presso gallerie, fiere e musei in Italia e all’estero.
Le sue opere si sviluppano partendo da una stella a quattro punte che diventa nel tempo il suo carattere distintivo, vero e proprio “logo” dell’artista. La composizione delle opere diventa quasi un’operazione ossessiva che genera elementi in cui questo simbolo si unisce al tessuto, al feltro, alle paillettes e alla ceramica, in un gioco il cui ritmo e la forma, rigorosi ed equilibrati, rimandano alla lezione dei maestri dell’astrattismo e del minimalismo.
Nell’ultima serie di lavori l’artista ricorre, invece, a strumenti tecnologici che si uniscono alla pittoricità segnica caratteristica della precedente fase di ricerca. Si ritrova in questi lavori tanto una contemporaneità legata ai nuovi strumenti di comunicazione, ormai abituali nella quotidianità, quanto il desiderio di non far sopraggiungere un oggetto concreto, finito e determinato, ma un’opera mutevole e transitoria che, proprio con l’interazione del pubblico, trova il suo compimento nel processo di relazione e mutazione che porta, anche, ad una riduzione della distanza tra l’oggetto artistico e il suo fruitore. www.vincenzomarsiglia.it
Mag15