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Giorgio Tentolini da Casalmaggiore (CR)
Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Devo dire che, per una serie di fortunate coincidenze e avendo ricavato lo studio in casa, non ho mai dovuto cambiare o anche solo rallentare la produzione, anzi, fin da subito, passati i primi momenti di smarrimento, mi son detto che avrei avuto due possibilità: adattarmi a questa nuova situazione, gettando le basi per una nuova visione del domani, o cambiare lavoro. Ho optato per la prima, approfittando del maggiore tempo libero per dedicarmi a nuovi canali di ricerca, nuove strategie di esposizione e per rivolgere ancora più attenzione e amore al mio operato, con l’idea fissa che l’unico modo per cadere in piedi è quello di innestare il turbo per farsi così trovare pronti al momento della riapertura.
Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’“assenza” e della “mancanza”.
Stiamo vivendo la fase 1 e tra pochi giorni ci aspetterà la nebulosa fase 2 (l’artista ha risposto alla nostra intervista il 3 maggio 2020, ndr)… Il periodo pre-virale sembra ormai lontano anni luce, il mantra “niente sarà come prima” accompagna ogni conversazione attuale e questo influenza la percezione del futuro. Mi manca il “contatto umano” e mi distrugge vivere “l’altro” come un possibile pericolo biologico. L’uomo si è evoluto grazie alla sua straordinaria adattabilità e quindi non ho dubbi ci abitueremo a questa nuova condizione. Da parte mia farò del mio meglio per essere a mia volta parte di questo nuovo presente. Ho voglia, come tutti, di ritornare ad esporre in un luogo fisico, circondato da un pubblico reale, finché questo non sarà di nuovo possibile sarò comunque felice di sfruttare i mezzi messi a disposizione e approfitterò delle nuove soluzioni espositive.
Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le tue “strategie” per instaurare nuove relazioni?
La prima cosa che ho fatto, scattata la reclusione, è stato di attivarmi anche in questo senso, aderendo a diverse iniziative; prima fra tutte, ho raccolto l’invito a partecipare ad una bellissima mostra virtuale presso la galleria Brun Fine Art in Old Bond Street a Londra (https://brunfineart.com/viewing-room/1-parnassos-giorgio-tentolini-an-online-exhibition/). In tempi record hanno realizzato una ricostruzione 3D degli spazi espositivi, il tutto accompagnato da un bellissimo catalogo ricco di immagini e testi critici. È stata inaugurata pochi giorni fa ma stiamo già raccogliendo ottimi riscontri. Penso sia stata un’ottima idea che sta già dando i suoi frutti. Anche le altre gallerie in Italia, America, Grecia e Francia si son subito attivate incrementando la vendita online e dedicandosi alla promozione del mio lavoro.
Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
Non voglio essere retorico, ma me lo immagino migliore, non voglio pensare diversamente. La storia ci insegna che le crisi hanno sempre portato a grandi passi in avanti, l’importante, in questa fase, è stringere i denti e resistere. Tutti ci siamo fermati e abbiamo detto “e ora cosa ne sarà di noi?”. Non possiamo saperlo, se ci limitiamo a registrare le informazioni attuali, non possiamo che cadere nella più cupa depressione. Rimaniamo focalizzati, dunque, pronti ad adattarci ai cambiamenti e alle difficoltà della ripartenza. Gli anni scorsi eravamo tutti vittime di un sistema iper accelerato, ora stiamo vivendo un momento che può darci la possibilità di rallentare e riflettere; facciamolo e tiriamo fuori delle idee, raccogliendo la sfida di farci trovare pronti e più forti di prima.
Giorgio Tentolini, Casalmaggiore (CR), 1978.
Dalla studiata sovrapposizione di ritagli su strati di rete metallica riemergono, con la consistenza di impalpabili visioni, le gradazioni chiaroscurali delle istantanee che lo scatto fotografico dell’artista ha sottratto al frastuono mediatico della contemporaneità: anatomie, volti di jeunes-filles e manichini (Presenze), soggetti della statuaria classica (Pagan Poetry) e la struttura architettonica di appartamenti (Immobili). Fin dai primi anni 2000, il suo approccio analitico alla visione lo porta suddividere l’immagine in livelli di luminosità, scanditi nell’acetato, nel plexiglass, nella carta nelle reti in pvc e nel tulle. Le opere in rete metallica (2016-2020) rappresentano l’apice di questa ricerca espressiva. Il gioco di intreccio, sfasatura e sovrapposizione dei moduli esagonali che compongono la maglia delle reti si trasforma nella trama percettiva attraverso la quale l’occhio coglie i tratti distintivi del soggetto, strutturato dalla stratificazione delle zone di luce e ombra. Vincitore del Premio Nocivelli, del Premio Rigamonti nell’ambito del Premio Arti Visive San Fedele di Milano, del Premio Paratissima Torino e Menzioni Speciali all’Arteam Cup della rivista Espoarte, l’artista ha esposto a Londra, Berlino, Amsterdam, nel Principato di Monaco, oltre che presso: il Palazzo del Monferrato di Alessandria, la Fondazione Dino Zoli di Forlì e il Palazzo della Ragione di Verona. Nel 2014 una sua opera entra nella collezione permanente del MAR di Ravenna. Nel 2018, come finalista del Premio Cairo, curato dalla rivista Arte, espone al Palazzo Reale di Milano. [Guendalina Belli]
La sua galleria di riferimento è Colossi Arte Contemporanea, Brescia.
www.giorgiotentolini.com
Mag21
Bianco-Valente da Napoli
Con quali oggetti e spazi del vostro quotidiano state interagendo di più?
Viviamo in un palazzo del Settecento nel centro storico di Napoli, le fondamenta dell’edificio lambiscono camere sepolcrali della città greca in cui riposano napoletani di duemilacinquecento anni fa. Si sono addormentati avendo negli occhi e nel cuore una città bellissima, chiassosa, asincrona, pervasa da grandi flussi di energia che ancora adesso giungono dalle caldere del Vesuvio e dei Campi Flegrei. A noi piace immaginarli da vivi, sazi di luce, come noi adesso. Si saranno ritrovati anche loro a riflettere su quale fosse il vero senso dell’esistenza, magari con lo sguardo perso nel cielo, oppure mentre sfregavano con le dita un muro di tufo giallo nel tentativo di lasciare un segno. Anche sulle loro mani saranno rimaste tracce di cenere vulcanica sfaldatasi dalla pietra.
Cosa vi manca? La vostra personale esperienza dell’“assenza” e della “mancanza”.
Per inerzia continuiamo ad immaginare un orizzonte temporale animato da consuetudini che, in questo momento, ci sono negate: abbracciare i familiari e gli amici, vivere nuovamente e senza disagio gli spazi pubblici, stringere le mani, viaggiare, tornare ad essere circondati dalle persone.
Quello che manca è la capacità mentale di riconnettere al presente questo orizzonte di tempo futuro che intravediamo, che apparentemente è a portata di mano, ma che continua a mantenersi distante, qualunque sia la direzione del passo che compiamo in questo tempo sospeso.
Abbiamo a che fare con un tempo e uno spazio nuovi. Cosa state scoprendo o riscoprendo di voi?
Ciò che ci offre in questo momento la vita è il tempo, l’elemento che più sembrava mancare nella nostra vita precedente. Bisogna valorizzare questo bene prezioso, utilizzandolo per ritrovare ciò che ci lega agli altri individui. Lo si può fare riattivando innanzitutto il legame profondo con se stessi: riflessione, introspezione, ricalibrare la percezione del mondo, permettendosi una volta tanto il lusso di diventarne l’unità di misura. Adesso abbiamo il tempo, possiamo farlo.
Bianco-Valente (Giovanna Bianco, Latronico, 1962 e Pino Valente, Napoli, 1967) vivono a Napoli dove si sono incontrati nel 1993. Iniziano il loro progetto artistico indagando dal punto di vista scientifico e filosofico la dualità corpo-mente, l’evoluzione dei modelli di interazione tra le forme di vita, la percezione, la trasmissione delle esperienze mediante il racconto e la scrittura. A questi studi è seguita un’evoluzione progettuale che mira a rendere visibili i nessi interpersonali. Esempi sono le installazioni che hanno interessato vari edifici storici e altri progetti incentrati sulla relazione fra persone, eventi e luoghi. Dal 2008 curano con Pasquale Campanella il progetto di arte pubblica A Cielo Aperto, sviluppato a Latronico, in Basilicata, perseguendo l’idea di lavorare alla costruzione di un museo diffuso all’aperto, in cui diverse opere permanenti dialogano con l’ambiente montano, e di intervenire nello spazio urbano con progettualità condivise e partecipate.
www.bianco-valente.com
Mag21
Giacinto Di Pietrantonio da Como
Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Come per tutti, mancano, per ora, occasioni di presenza fisica per vedere mostre, partecipare a conferenze, andare a trovare parenti, amici, insomma la socialità in presenza diretta, sostituita dalla socialità in presa diretta. Siamo invitati a partecipare a conferenze, chiacchierate via web. Devo dire che questo non mi dispiace più di tanto, mi ha portato a interagire con mezzi che prima frequentavo poco, un po’ per mancanza di tempo, un po’ per pigrizia. Cerco di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno e quindi, armato di ottimismo, cerco di approfondire anche le occasioni negative come questa del Covid-19 per volgerle in positivo. Solo reagendo, progettando in modo diverso se ne esce. La condizione in cui ci troviamo rimette al centro qualcosa che avevamo dimenticato o emarginato, il futuro, perché vivevamo in stato di eterno presente. La quarantena ci ha costretti a pensare al domani. Per quanto mi riguarda parlo sia in relazione al lavoro in arte che all’insegnamento. Anche in questo secondo caso la virtualità era finora sottovalutata e sottoutilizzata da me per primo, essere costretti a utilizzarla ci da alcuni vantaggi. Non dico che le lezioni online sono migliori delle lezioni in presenza di studenti e professori, solo che capire le possibilità del cosiddetto virtuale per poi utilizzare a fini didattici è un qualcosa in più non in meno, soprattutto per quando tutto tornerà alla “normalità”.
Con quali oggetti e spazi del tuo quotidiano stai interagendo di più?
Con le opere che ho in casa e in particolare con l’opera di Ugo La Pietra: Unità nella diversità realizzata nel 2011 in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia. È un’opera composta da 20 teste di ceramica ognuna rappresentante una regione italiana. Le opere che si hanno sono importanti, ma nel momento in cui le hai tutti i giorni sotto gli occhi finisci per farci l’abitudine e quasi per non vederle più. Ci vuole qualcosa che ti faccia scattare la molla di una nuova attenzione. Stando chiuso in casa mi son chiesto: Visto che non posso fare mostre fuori, perché non fare qualcosa con le opere di vari artisti amici che ho in casa? Così sono partito a fare una serie di video, in un primo momento pensandoli solo per i miei studenti dell’Accademia di Belle Arti di Brera, ma poi mi son detto: “Li faccio per tutti e li posto su youtube”. Li ho chiamati miti e mitologie dell’arte. Sono video in cui, partendo ogni volta da una testa-opera-regione, parlo di arte sia della regione stessa che dell’universo mondo, ma sempre in una prospettiva interdisciplinare. Ho scelto queste opere di La Pietra perché volevo fare qualcosa legato in maniera forte all’Italia, che ritengo, nel bene e nel male e scusate la retorica, essere il più bel paese del mondo, quello in cui, se non ci fossi nato, avrei scelto di vivere.
Ad oggi quali sono state per te le conseguenze immediate della diffusione del Covid-19 sul tuo lavoro e quali pensi possano essere le conseguenze a lungo termine?
Di rendermi ancor più reattivo e pensare progetti da poter fare da casa o fatti in casa. Difatti, dopo quelle delle regioni, inizierò a fare quelle sull’Italia, in ogni video partirò da un’Italia di Fabro, che affrontano ognuno argomenti diversi. Finite le Italie di Fabro includerò altre Italie come quelle di Salvo, o di Claire Fontaine e altri ancora. Poi passerò a fare dei video in cui parto da opere che rappresentano l’Europa e poi da quelle delle mappe mondo, naturalmente partendo da quelle di Boetti. Tutto ciò sempre all’interno di quello che chiamo: miti e mitologie dell’arte. Altra cosa che sto preparando sono mostre online sempre con le opere che ho in casa, ricombinandole in mostre complesse. Ci sto lavorando, sia perché insieme alle opere d’arte metterò nell’allestimento anche altre cose che ho in casa e sia perché sto ragionando come allestirle. In una casa e per un allestimento continuo temporaneo auto-prodotto che deve essere restituito-fruito online, la presentazione è diversa da una fatta per e in un museo o galleria. La condizione attuale mi porta anche a interrogarmi su cosa e come lavorano gli artisti in questo periodo. Per questo approfitto per fare una chiamata alle armi, invitando chi vuole a spedirmi immagini e testi prodotti al mio indirizzo: giacinto.dipietrantonio@gmail.com. Vorrei ragionarci sopra e farne mostre e pubblicazioni. Insomma vivo una fase molto sperimentale i cui risultati poi proporrò anche a musei, fondazioni, gallerie, case editrici. A tutto questo aggiungo che sto rifinendo il libro: Il peccato originale dell’arte a cui da qualche anno sto lavorando con Giuseppe Stampone. Badate non è un libro su Stampone, ma con Stampone in cui io scrivo i testi e lui disegna le immagini.
Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le tue “strategie” per instaurare nuove relazioni?
Musei e gallerie hanno mostrato anche una forte progettualità come ad esempio la GAMeC di Bergamo in cui il direttore Lorenzo Giusti ha creato Radio GAMeC che non è importante in quanto attiva ora, o almeno non solo per questo, ma in quanto è una cosa che rimane anche dopo, lo stesso dicasi per l’attivazione di spazio laboratorio per gli artisti del MAMBO di Bologna attivato dal direttore Lorenzo Balbi, altri esempi potrebbero seguire. La positività sta nel creare ora dispositivi per il dopo che forse non sarebbero stati creati se non ci fossimo trovati in una situazione di emergenza. Sfatiamo anche questa storia dei visitatori e distanziamento per i musei d’arte moderna e contemporanea, fondazioni e gallerie d’arte, perché si tratta di luoghi che, fatta salvo per i grandi musei come Tate, Pompidou, MoMA, e alcuni altri, dopo le inaugurazioni sono luoghi poco frequentati e quindi, da questo punto di vista, si troveranno avvantaggiati, perché sono già abituati al poco pubblico. Solo che finora c’era la preoccupazione di attirare pubblico in luoghi in cui il grande pubblico non va, mentre adesso non avendo più questa preoccupazione si potrà dedicare ancora più energie alla sperimentazione e alla ricerca che è ciò che alla lunga paga. Una persona, un Paese, un Mondo muore quando finisce di ricercare, sperimentare, costruire il futuro. In tutto ciò anche le gallerie d’arte avranno un ruolo determinante, perché se da un lato stanno potenziando una parte del lavoro sul digitale è anche vero che le gallerie si reggono sulle vendite e quindi il loro fine e dell’artista che espongono è il collezionista, oltre che critici e curatori. D’altronde, già da tempo, molte delle vendite delle opere avvengono in buona parte al telefono e in molti casi senza che il collezionista si rechi a vedere l’opera. Le gallerie hanno un pubblico ancora più ridotto, mentre quello più copioso lo trovano in gran parte nelle fiere. Manifestazioni che, data la loro breve durata, sono un concentrato di persone, e saranno quelle che più soffriranno della situazione almeno a breve termine. Allora le gallerie torneranno a lavorare molto più nella loro sede, destinando maggior attenzione al loro poco pubblico, anche perché va considerato che nelle gallerie il pubblico non si conta, si pesa. Ciò dimostrato dal fatto che se i musei, le fondazioni danno sempre informazioni sul numero di visitatori e la stessa stampa si è ridotta da anni a parlare sempre più del numero dei visitatori come metro di riuscita di un’esposizione, invece dei contenuti della stessa, ciò non accade per le gallerie private in cui il numero dei visitatori ha un valore molto relativo. Per questo le gallerie dovranno tornare a essere un luogo di dibattito, oltre che di compravendita.
Abbiamo a che fare con un tempo e uno spazio nuovi. Cosa stai scoprendo o riscoprendo di te?
Come sempre e come in tutto non è la chiusura a preoccuparci, ma l’apertura, o meglio la riapertura a seguito del reale vuoto interno ed esterno in cui ci ha chiuso il Covid-19. L’arte con le strade e le piazze dei quadri di de Chirico ci aveva già dato coscienza di questo vuoto, ora che siamo passati dalla rappresentazione alla realtà, possiamo capire a cosa serva l’arte, come sempre a metterci sull’avviso e quindi prevenire e pensare al e il futuro. L’arte ha da sempre una funzione di antenna e prefigurazione come dimostra Michelangelo Pistoletto con l’idea del suo Terzo Paradiso volta a riconciliare natura e cultura. Ciò è possibile solo se continuiamo a cercarci e creare comunità. Tuttavia, oggi siamo intenti a gestire non solo la categoria chiuso-aperto, ma pure quella del vicino-lontano, la misura, da sempre altro tema dell’arte a partire da quella tra artista e osservatore anzi tra opera e fruitore come dimostrano le opere di Giulio Paolini a partire da Giovane che guarda Lorenzo Lotto. Si tratta di questioni che modificheranno la fruizione dell’arte, almeno a breve termine? Chi ci guadagnerà in tutto ciò? Certamente la fruizione aumentata dell’arte attraverso le pratiche digitali, finora usate in maniera ancora “primitiva”, tenendo, però, ben presente che, alla lunga, non potrà sostituire la tradizionale fruizione in diretta, perché un quadro visto dal vero non è la stessa cosa vista in digitale, perché ci sono delle forme d’arte partecipative con presenza corporale che il digitale può sostituire solo in parte, anzi aiuterà a implementare il desiderio di fruibilità diretta. Questo perché l’essere umano è animale sociale per eccellenza che ha necessità, come dell’aria, di relazionalità in un tempo oramai sospeso, rallentato e dilatato.
Giacinto Di Pietrantonio è Critico, Curatore d’arte e Docente. Insegna Storia dell’Arte Contemporanea, Teoria e Storia dei Metodi di Rappresentazione e Sistemi Editoriali per l’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano. Dal 1986 al 1992 è stato redattore e vicedirettore della rivista Flash Art, ha curato mostre in Italia e all’estero come 3 edizioni di Volpaia, 6 edizioni di Fuori Uso a Pescara, mostra d’arte russa alla Biennale di Venezia, 1993 e Quadriennale di Roma 2006. Dal 2000 al 2017 è stato Direttore della GAMeC (Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea) di Bergamo di cui ora è Consigliere, nel 2003 ha fondato l’AMACI. Negli anni 2018-2019 ha diretto la residenza artistica BoCs Art, Cosenza. ha ricevuto vari premi tra cui: Premio alla Carriera dell’AMA (Associazione Almae Matris Alumni) dell’ateneo bolognese nel 2008 e Premio Capitani della Cultura dell’anno 2016.
Mag20
Pierpaolo Lista da Paestum (SA)
La tua nuova ritualità quotidiana…
L’arrivo della pandemia ci ha inaspettatamente portato all’isolamento sociale. Le circostanze che si sono create hanno cambiato abitudini e ritmi di vita. L’obbligo di stare in casa mi ha dato l’opportunità di lavorare e svolgere le attività quotidiane con meno fretta. Avendo la percezione di un tempo più lungo ho dedicato più ore alle mie passioni. Ho ascoltato vecchi dischi e mi sono reso conto come cambiano le emozioni e il sentire con il passare degli anni; ho riordinato vecchie fotografie che mi hanno rivelato dettagli, eventi e fasi della mia vita dimenticate; ho sfogliato cataloghi e riviste d’arte accantonate nella libreria.
Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Vivendo in una casa studio il mio modo di lavorare non ha subito un grande cambiamento. Ho continuato a dipingere, a fotografare, a disegnare nel mio studio senza restrizioni. Non ho interrotto i miei progetti, anche se la mostra personale che avrei dovuto inaugurare in primavera è stata rimandata. Mi sono dedicato a progetti già definiti e ne ho sviluppati di nuovi. Ho anche riordinato e riorganizzato piccoli angoli dello studio un po’ confusi. Inoltre, in questo periodo, il mondo dell’arte non si è fermato completamente e ha organizzato iniziative sul web alle quali ho partecipato con grande entusiasmo.
Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’“assenza” e della “mancanza”.
In questo momento storico mi sono venute a mancare alcune certezze della nostra società, la libertà individuale e la libertà di movimento. Mi manca vivere gli spazi esterni, andare al cinema, a un concerto, visitare una mostra, camminare per le strade di una città o fare una semplice passeggiata al mare. Dopo mesi di contatti virtuali, pur sapendo che la lontananza fisica non corrisponde a una lontananza emotiva, mi manca incontrare i miei amici e i miei familiari.
Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
Con la ripartenza non si tornerà alla normalità. Sarà una normalità nuova. Il distanziamento sociale farà ancora a lungo parte della nostra vita. Bisognerà riorganizzare i luoghi pubblici e ripensare a una nuova mobilità. In futuro, quando il momento di crisi passerà, torneremo sicuramente a viaggiare, a incontrare le persone ma con modalità diverse. Sicuramente per me non sarà un mondo migliore finché non potrò abbracciare le persone che amo.
Pierpaolo Lista è nato a Salerno 1977. Vive a Paestum e lavora tra Napoli e Milano. La pittura è stato il primo linguaggio visivo che ha utilizzato. Dopo aver indagato diversi materiali, ha scelto come supporto pittorico il vetro. Lavora sul retro della lastra vitrea con pennellate, graffi e incisioni sulle campiture di colore. Nel 2007 intraprende anche un percorso fotografico. Per realizzare le immagini, ricostruisce nel suo studio una realtà fittizia popolata da oggetti realizzati con materiali poveri (carta, ferro filato, spago). Il suo lavoro è una prassi di ricostruzione di scenari disabitati, ambientazioni scarnificate, riproduzione di oggetti rappresentati da linee essenziali. Le sue immagini nascono dalla manipolazione di archetipi narrativi, immagini mentali, flash visivi. Negli ultimi anni realizza anche video e installazioni.
Nel 2019 partecipa alla collettiva Opere, idee, progetti, persone dalla collezione del Madre a cura di Andrea Viliani e Silvia Salvati al Castello Macchiaroli di Teggiano con un’opera che è entrata a far parte della collezione del Museo Madre. https://instagram.com/pierpaololista https://www.facebook.com/Pierpaolo-Lista
Mag20
Serena Fineschi da Siena
Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le tue “strategie” per instaurare nuove relazioni?
In realtà non dovremmo più parlare di strategie ma parlare di artisti, della loro ricerca e delle loro opere. Queste sono le relazioni che dovremmo coltivare con perseveranza e maggiore attenzione.
Nel 2018 con Laura Viale e Alessandro Scarabello ho fondato MODO asbl, un’associazione culturale indipendente con sede a Bruxelles. È un luogo di pratica quotidiana, sede dei nostri studi, così come uno spazio utile a rinnovare e arricchire il dialogo sulla centralità dell’opera d’arte. L’idea di MODO è quella di riportare al centro della discussione contemporanea l’importanza dell’opera d’arte come perno ed elemento di produzione di valore culturale, proponendo momenti di dialogo in cui gli ospiti invitati conversano intimamente e si confrontano aprendo una riflessione sul significato e l’importanza dell’opera d’arte nel panorama contemporaneo.
Credo fermamente che si debba ripartire da questo concetto e dagli spazi di produzione degli artisti dove tutto ha origine (l’intimità e l’opera sono venute insieme al mondo) e che questi possano diventare liberi territori di dialogo, incontro, confronto, crescita e educazione. Da anni manca una critica indipendente che dissenta con coraggio, lo stesso coraggio da recuperare negli artisti a essere disturbanti e autentici con l’urgenza che li definisce. Solo creando occasioni di confronto, dove gli artisti possano sostenersi, aiutarsi, confrontarsi, battersi con onestà e fronteggiarsi con stima si potranno ridefinire gli esercizi di un diverso approccio al contemporaneo e creare nuovi disordini di pensiero.
Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
Non riesco a immaginare cosa accadrà ma so che la saturazione di informazioni visive ha inquinato il nostro modo di vedere, usurato la forza dell’apparizione, logorato la meraviglia dello stupore, consumando lentamente la nostra capacità di immaginare. Questo sta accadendo ormai da alcuni anni ed è indispensabile recuperare la lentezza della contemplazione dell’opera, la quale non ne esaurisce senz’altro la lettura, ma ne determina un valore fondamentale e una pratica sostanziale da riscattare: educare il nostro sguardo.
In questa fase storica sono indispensabili delle trasformazioni radicali che possano creare delle bolle di resistenza fluide tra artista, critico, gallerista, collezionista e istituzione dove tra le urgenze si presenta anche quella di formare, conversare e dialogare con il nuovo spettro del pubblico digitale, affinché si stabiliscano rinnovate pratiche di convivenza che non ci rendano così subordinati all’approssimazione e all’indifferenza.
Stiamo capendo che si può vivere con meno mobilità?
Ho sempre pensato che debbano essere le opere a viaggiare e muoversi, molto più degli artisti.
Sono le opere che hanno il potere della visione e del viaggio; attraversano confini, esplorano nuovi spazi e vagabondano senza sosta, abitando ogni intervallo possibile. Sono loro a doversi muovere.
Quando tutto questo finirà: una cosa da fare e una da non fare mai più.
Con Laura e Alessandro stiamo lavorando alla possibilità di creare una sede di MODO anche in Italia, proprio perché riteniamo che debbano esistere nuovi approdi dove gli artisti (e non solo) possano incontrarsi, dialogare e creare nuove opportunità di pensiero.
Riconsiderare le programmazioni museali dal rituale mortale degli eventi di massa a nuove visioni più ridotte, inaugurazioni a misura più intima che possano avvicinare il pubblico al contemporaneo con maggiore lentezza, conforto e attenzione. Un modo per educare un pubblico nuovo, più consapevole e preparato che possa diventare anche massa critica, come accade in molti altri paesi dove l’educazione all’arte, in particolare quella contemporanea, parte dalle basi della crescita e prosegue per tutto il periodo della scolarizzazione, creando sguardi pensanti. Rischiamo pericolosamente di andare alla deriva e lasciare la produzione del contemporaneo ad altri paesi.
L’Italia è tra i paesi culturalmente più arretrati d’Europa, dobbiamo aprire gli occhi, ora.
Serena Fineschi è nata a Siena. Vive e lavora a Siena e a Bruxelles.
Nel suo lavoro il corpo è la dimensione e la misura che lo determina. Il lavoro di Serena Fineschi è estensione carnale, nel quale il corpo dona e riceve. Le trame formali del suo lavoro si distendono e comprimono di continuo, producendo fessure euforicamente tragiche, luoghi di transito che confidano nuove riflessioni e esperienze tangibili, intime e sociali.
Il suo lavoro è stato presentato in numerose sedi pubbliche e private in Italia e all’estero tra cui il Musées Royaux de Beaux-Arts de Belgique, Old Masters Museum, a Bruxelles, l’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles, il Bozar, Centre for Fine Arts di Bruxelles, la collezione Frédéric de Goldschmidt, la Fondation Thalie a Bruxelles, Officina asbl a Bruxelles, Belgio; il Museo di Arte Moderna e Contemporanea Raffaele de Grada di San Gimignano, il Complesso Museale SMS Santa Maria della Scala di Siena, il Centro d’Arte Contemporanea Palazzo delle Papesse a Siena, le Corderie dell’Arsenale, la Biennale Manifesta12 a Palermo, Casa Masaccio Arte Contemporanea a San Giovanni Valdarno, la Fondazione Palazzo Magnani/Palazzo da Mosto a Reggio Emilia, l’Ospedaletto Contemporaneo, Complesso dell’Ospedaletto a Venezia, Palazzo Monti a Brescia, in Italia. Nel 2018 con Alessandro Scarabello e Laura Viale ha fondato MODO asbl, associazione culturale indipendente per la promozione del contemporaneo con sede a Bruxelles.
La sua ultima mostra è “Vogliamo parlare d’amore?”, a cura di Marina Dacci, solo show a Palazzo Monti, di Brescia, inaugurata il 15 febbraio 2020 e sospesa per l’emergenza Covid-19 (riapertura in fase di pianificazione).
Mag21