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Tiziana-Casapietra
Tiziana Casapietra da Savona

Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’“assenza” e della “mancanza”.
Non mi manca nulla. Trovo questo levare utilissimo a ripensarsi. Qualche giorno fa ho letto sul The New Yorker (https://www.newyorker.com/news/our-columnists/the-political-consequences-of-loneliness-and-isolation-during-the-pandemic) un articolo che interpretava la situazione in atto attraverso Hannah Arendt quando descrive le potenzialità creative dell’isolamento, perché è nella solitudine che si alimenta il dialogo con se stessi. “Nel nostro mondo iper-connesso, raramente ci ricordiamo di ritagliarci spazi per la contemplazione solitaria” (fonte: https://aeon.co/ideas/before-you-can-be-with-others-first-learn-to-be-alone). Questa occasione ci sta concedendo il lusso di recuperare lo spazio privilegiato del dialogo silenzioso con noi stessi.

Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le tue “strategie” per instaurare nuove relazioni? 
Dovendo chiudere il Museo (il Museo della Ceramica di Savona, ndr) come da decreto, anche noi ci si siamo interrogati su come continuare a mantenere vivo il rapporto con il pubblico ma soprattutto con tutti coloro che fruiscono regolarmente dei servizi e delle proposte museali.
Tra le prime risposte che abbiamo messo in atto ci sono stati i vocali d’artista. Ci pareva interessante coinvolgere direttamente gli artisti nella presentazione delle loro opere esposte al Museo. Abbiamo chiesto ad alcuni artisti di inviarci delle brevi note vocali via WhatsApp a commento dei loro lavori. Abbiamo montato i vocali sulle riprese video delle opere e abbiamo pubblicato queste suggestioni sul sito del Museo e sui social. Quando è possibile, leggere un’opera attraverso le parole di chi l’ha pensata arricchisce la fruizione dell’opera stessa. Questa operazione non è stata ovviamene possibile per le ceramiche realizzate in altre epoche storiche. In questo caso le riprese dei manufatti sono state montate su note vocali registrate dal personale del museo che, in tempi normali, guida i visitatori attraverso le sale alla scoperta delle opere esposte.
In un secondo tempo abbiamo ragionato sul tema della casa e su come questo luogo abbia assunto nel tempo del confinamento diversi significati e funzioni. La casa, in cui siamo costretti a restare più a lungo per proteggerci dal contagio, viene intesa come rifugio, luogo del calore familiare, ma anche spazio di studio e di lavoro. Capita che la stessa casa diventi il centro delle nostre solitudini e del nostro malessere, un luogo dove si alimentano insofferenze e sofferenze, una prigione da cui scappare.
Siamo partiti dall’analisi di un’opera che abbiamo al Museo Architettura divisa, casette dell’architetto e designer Franco Raggi. Caratterizzata da due porzioni di casa accostate ma divise, mi pareva che quest’opera, sebbene realizzata nel 2006, fosse oggi più che mai attuale. “È sulle linee di confine che avvengono le scintille”, dice Raggi durante una nostra conversazione in cui si ragiona su quest’opera (Link al suo vocale sull’opera https://www.youtube.com/watch?v=jwsDt-iquXI).
Partendo da questa riflessione sulla casa e sempre con l’intenzione di avvicinare il Museo al suo pubblico, abbiamo attivato il progetto #casalaboratorio portando l’argilla nelle case dei partecipanti affinché potessero realizzare manufatti ispirati al tema della casa. I partecipanti vengono seguiti nel loro lavoro dai responsabili delle nostre attività laboratoriali attraverso collegamenti settimanali via Hangouts Meet. Tutti i lavori realizzati verranno esposti al Museo quando, finita l’emergenza, saremo in grado di riaprilo al pubblico.

Stiamo capendo che si può vivere con meno mobilità?
Mi viene in mente che l’anno scorso, nella bellissima mostra Broken Nature alla Triennale di Milano, la sezione curata dal neurobiologo vegetale Stefano Mancuso mostrava i sofisticatissimi movimenti che effettuano le piante senza spostarsi. Movimento senza spostamento; sarebbe interessante soffermarsi sull’analisi di questo ossimoro. Anni fa, osservando l’omogeneità del mondo dell’arte contemporanea a livello internazionale, Obrist aveva teorizzato il principio del “fly-in, fly-out” applicato alla pratica curatoriale e ne abbiamo parlato a lungo durante una conversazione che ho pubblicato sul sito di Radicate (http://www.radicate.eu/it/hans-ulrich-obrist-serpentine-galleries-londra-capitolo-17/). Nel momento di massima eccitazione per una globalizzazione che iniziava a permetterci veloci viaggi low-cost in tutto il mondo, si volava da un capo all’altro del pianeta per prendere parte ai tre giorni di inaugurazione delle più grandi kermesse internazionali dell’arte e per ritrovarsi sempre davanti allo stesso modello di mostra e ai soliti artisti.
La moda delle esposizioni itineranti, soprattutto quelle commerciali, risponde a esigenze note: accorciare i tempi di produzione, contenere i costi e massimizzare il profitto. La mostra itinerante spedisce come un pacco, da una città all’altra, un prodotto artistico senza mai inserirlo davvero in un contesto specifico. Il fine di una mostra, però, non può più ridursi alla proposta di un prodotto chiuso, finito; una mostra, come ogni progetto culturale, deve essere in grado di scatenare un processo aperto di presa di coscienza e stimolare lo sviluppo del senso critico. Il movimento non si esaurisce nella movimentazione della mostra; il movimento trova piena realizzazione nella disponibilità a modificarsi, ad adattarsi, a conciliare la propria visione con quella dell’ambiente con cui si interagisce.
In un interessante articolo che ho letto recentemente sul Corriere della Sera (https://www.corriere.it/esteri/20_maggio_04/houellebecq-cari-amici-mondo-sara-uguale-solo-po-peggiore-e512c852-8e40-11ea-b08e-d2743999949b.shtml), Houellebecq cita Nietzsche e dice “a meno che non si debba scrivere una guida turistica, i paesaggi attraversati hanno meno importanza del paesaggio interiore”. Questo per dire che se il “fly-in, fly-out” non implica una relazione tra paesaggio attraversato e paesaggio interiore, il movimento è solo consumo.
Quello che sta succedendo in questo periodo, ci sollecita a sviluppare ulteriormente queste riflessioni sul senso e l’utilità delle mobilità nella costruzione di un progetto culturale, espositivo e museale. La sfida oggi è ridiscutere la missione dell’istituzione culturale, aggiornare la sua funzione all’interno della propria comunità di riferimento in base ai cambiamenti in atto che si fanno sempre più evidenti; nel contempo occorre alimentare, grazie alle tecnologie che abbiamo, le relazioni e gli scambi con colleghi, operatori dell’arte e della cultura e istituzioni attive a livello interazionale che si stanno interrogando sulle stesse questioni. La mobilità a cui aspirare deve essere tra paesaggio esteriore e interiore.
Nel 2013 ho fondato un progetto che ho chiamato Radicate (www.radicate.eu). Mi pareva che questo continuo viaggiare, che dalla fine degli anni Novanta caratterizzava il modo di lavorare di artisti e curatori, stesse iniziando a smarrire il suo senso senza permetterci di approfondire niente. Ho iniziato a ragionare sul concetto opposto al “fly-in, fly-out” e mi pareva di averlo individuato nel termine “radice”. Se il “fly-in, fly-out” presuppone l’essere contemporaneamente dappertutto e da nessuna parte, ho cominciato a interrogarmi su cosa implicasse l’essere invece profondamente radicati in un luogo. Ho così iniziato a utilizzare Skype (invece dell’aereo) per confrontarmi con colleghi di tutto il mondo su ricerca, futuro, visioni, partendo ciascuno dal proprio punto di vista che molto ha a che fare con il contesto in cui si vive, in cui appunto si è radicati. Le conversazioni che ho condotto via skype, più di un centinaio, sono raccolte sul sito.

 

Tiziana Casapietra dopo la laurea in Lettere Moderne con orientamento artistico, dal 1994 al 2000 ha lavorato come “Assistant Editor” presso la redazione milanese della rivista Flash Art International. Dal 1997 al 2009 è stata docente a contratto presso l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano. Dal 2000 al 2006 è stata co-fondatore e co-direttore artistico della Biennale di Ceramica nell’Arte Contemporanea che ha portato curatori, artisti e designer a confrontarsi con la ceramica. Nel 2013 ha fondato Radicate un progetto che prevede l’utilizzo di Skype per realizzare conversazioni con alcune figure chiave della ricerca artistica internazionale. Dal 2018 dirige il Museo della Ceramica di Savona. Tra i progetti su cui sta lavorando ora, quello che permetterà la visita del modello di città in ceramica di Yona Friedman grazie all’utilizzo di visori 3D realizzati in collaborazione con il Dipartimento di Architettura e Design dell’Università degli Studi di Genova e il progetto che consentirà di relazionarsi nello spazio con il segno del “Terzo Paradiso” di Michelangelo Pistoletto grazie alle applicazioni digitali sviluppate dal CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e SPX Lab di Genova. http://musa.savona.it/museodellaceramica/