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Giorgio Bonomi da Perugia

La tua nuova ritualità quotidiana… Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Onestamente il Coronavirus non ha cambiato di molto il mio lavoro, a parte la mobilità e l’allestimento di mostre. Non essendo un presenzialista né un mondano ho sempre praticato la lettura e lo studio, attività che in questi tempi ho aumentato, oltre a poter terminare il mio terzo volume sull’autoscatto fotografico, una ricerca più che decennale che ha prodotto i primi due volumi (Il corpo solitario. L’autoscatto nella fotografia contemporanea, Rubbettino editore), decine di presentazioni in musei e università, numerose mostre e il sorgere, presso il Musinf di Senigallia, dell’Archivio dell’Autoritratto Fotografico.

Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
Il futuro, quando tutto passerà, è ovviamente incerto. Ho paura che si consolidi l’uso “improprio” dei mezzi telematici che sono stati abbondantemente utilizzati in questi tempi, opportunamente per le scuole di ogni ordine e grado, mentre per quanto riguarda l’arte ho trovato fastidiosissimi le mostre online, il postare disegni e disegnini da parte di artisti, spesso meno che mediocri, che hanno trovato l’occasione di vedere il loro nome pubblicato, il discettare degli onnipresenti curatori e critici che, allergici alla lettura, ci hanno propinato ricette più o meno insulse e inutili. I social già avevano ristretto la vera socialità e la serietà culturale, facendo credere ai gonzi che “uno vale uno”, quando le differenze – materiali e intellettuali – non solo ci sono, ma aumentano, per cui speriamo che la pandemia non faccia aumentare i rapporti immateriali che tanto piacciono alla massa degli imbecilli (in senso latino), cioè a quelli che credono al complotto per la diffusione del virus o che vanno alle mostre solo per farsi i selfie davanti alle opere.

Stiamo capendo che si può vivere con meno mobilità?
Non è vero che stiamo comprendendo che si possa vivere con meno mobilità, solo abbiamo fatto di necessità virtù.
Il viaggio, l’incontro, il contatto, lo scambio fisico sono fondamentali per tutti gli uomini, tanto più per chi si occupa d’arte e, a maggior ragione, nella globalizzazione. Non si scambi, però, il viaggio, inteso come “grand tour” con i pur lodevoli scambi Erasmus o le inflazionate residenze, che permettono a giovani o meno di spostarsi dalla Corea al Brasile, dall’Australia alla Danimarca, per cui sanno tutto sulle innumerevoli biennali, sulle centinaia di giovani artisti la cui fama dura “l’espace d’un matin”, ma la cui ignoranza è direttamente proporzionale alle mostricine che curano le cui presentazioni di poche pagine costituiscono i loro titoli “scientifici”.

Giorgio Bonomi è nato a Roma nel 1946, dove si è laureato in Filosofia, vive a Perugia. Dopo un periodo di studi e scritti di filosofia politica, tra cui il libro Partito e rivoluzione in Gramsci (Feltrinelli, 1973) e vari articoli (in “il Manifesto”, “Les Tempes Modernes”, “Problemi del Socialismo”), si è dedicato all’arte contemporanea come critico, curatore (circa 300 mostre), saggista (più di 20 libri) e fondando e dirigendo la rivista “Titolo”. Ha diretto il CERP di Perugia dal 1994 al 1999; la Biennale di Scultura di Gubbio negli anni 1992, 1994, 2006, 2008; dal 2004 al 2007 ha diretto una Fondazione sulla pittura analitica con sedi a Chiavari e Milano; è curatore dell’Archivio dell’Autoritratto Fotografico di Senigallia; dirige la Collana Arte Contemporanea dell’Editore Rubbettino. Sta terminando il III volume, Il corpo solitario, della sua ricerca sull’Autoritratto fotografico che ha esaminato più di 2000 artisti di tutto il mondo.