• 0 Items -  0.00
    • Nessun prodotto nel carrello.

Blog

Davide Coltro
Davide Coltro da Trezzano sul Naviglio (MI)

La tua nuova ritualità quotidiana…
Le mie abitudini quotidiane sono cambiate per la differente ricerca del silenzio e della concentrazione che mi servono per lavorare. La mattina è diventata molto importante per un primo sguardo sul mondo, anche se fatto in raccoglimento, senza perdersi nel labirinto mediatico. Poi, proseguo fino a pranzo, sempre con studi in corso e annotazioni per nuovi progetti. Una preparazione in vista del pomeriggio, la finestra temporale nella quale lavoro al meglio in questo momento, diviso tra studio e laboratorio che, pur essendo nello stesso spazio, per operare richiedono due attitudini mentali differenti, la difficoltà consiste anche nel farle conciliare.

Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Per lavoro non intendo solo il tempo passato sugli strumenti della “pittura oltre la materia” – come io definisco la pittura elettronica e digitale – o in laboratorio a sviluppare le soluzioni tecniche per le opere, ma anche il tempo della meditazione sul proprio agire. Ho sempre trovato questa condizione favorevole nelle ore notturne, momenti dove il pensiero può danzare libero e lo spirito avere qualche momento di trascendenza. Il rumore di fondo, il brusio psichico generato dall’agire umano si è molto attenuato, rendendo possibile l’atmosfera per la ricerca anche nelle ore diurne. La notte si è più concentrati su se stessi, il giorno favorisce invece la contemplazione delle meraviglie del creato attraverso la luce che illumina le cose. Abbiamo una maggiore ricchezza, più elementi, non solo il nostro lago interiore. La luce stimola anche gli altri sensi verso nuovi orizzonti.

Musei e gallerie hanno reagito al momento con la digitalizzazione e la virtualità. Quali sono le tue “strategie” per instaurare nuove relazioni?
L’arte vive di intuizioni, di anticipazioni, che a volte diventano più nitide e si possono realizzare in progetti che precorrono i tempi. Nel mio caso, lavorando da molti anni ad un progetto che si basa proprio sulla prossimità tecnologica, sono piuttosto sintonizzato con questa tendenza. L’atto di digitalizzare è necessario al pari della virtualizzazione, per arricchire l’esperienza di fruizione dell’arte, i Musei e le Istituzioni che vanno in questa direzione non sbagliano i loro investimenti. Nel mio progetto non è necessario questo passaggio perché ogni opera nasce, vive e viene fruita attraverso Terminali Artistici Remoti in una progressione tutta digitale. Attualmente sto anche lavorando ad un progetto editoriale, una monografia che esporrà la mia ricerca sul Quadro Elettronico, accennando ai possibili scenari futuri per questo tipo di pratica artistica. Dovrebbe uscire proprio in autunno, piena ripresa dopo il Lockdown, un modo per continuare il dialogo con il mondo dell’arte.

Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
Con questa esperienza su scala planetaria, con centinaia di migliaia di vittime, penso sia stata messa luce una verità spesso oscurata: cioè che la solidarietà umana, spinta all’impegno civile, fino al sacrificio ed alla abnegazione dei gesti estremi, abbia le proprie radici nella Compassione e nelle forme concrete della Carità, entrambe con le iniziali maiuscole. Queste sono il collante ed il propellente del mondo, la misura del grado di civiltà raggiunto dai popoli. Quando si parla di “nuovo umanesimo” ci sono molte interpretazioni ma, per compiere una scelta che funzioni, è importante che ci sia una visione reale dell’uomo, cioè nella sua interezza, che gli riconosca immanenza e trascendenza, una dimensione morale, capace di interrogarsi sulle questioni ultime, senza scappatoie. La nostra umanità verrà giudicata da quanto avremo amato, disse diverso tempo addietro un predicatore della Galilea, e quanto asserì, con la sua tipica semplicità, sembra tuttora insuperato. Che gli si creda oppure no, spero che alla ripartenza, il mondo prenda sul serio molti dei suoi consigli…

Quando tutto questo finirà: una cosa da fare e una da non fare mai più.
Visiterò molto più frequentemente gli studi dei miei colleghi, questa rete di rapporti diretti tra artisti va rafforzata, oggi è quasi inesistente. Noi per primi abbiamo bisogno della bellezza, soprattutto di quella generata dagli altri. Ascolterò di più le loro storie, toccherò con gli occhi le loro opere, cercherò arte viva che mi nutra profondamente. Smetterò di sovrapporre le idee sulla vita alla vita stessa.

Stiamo capendo che si può vivere con meno mobilità?
La maggiore velocità di spostamento ha rimpicciolito il mondo, ha creato un villaggio globale dove il nomadismo è una delle nuove condizioni vissute dall’uomo. Siamo come pacchetti dati che viaggiano nelle reti telematiche, in un secondo fanno più volte il giro del globo. Molti pensatori, sin dalla metà del secolo scorso, hanno immaginato nuovi scenari sociali, legati alla mobilità intesa come libertà, Derrick De Kerckhove, per esempio, nel 1997, ha imposto con l’autorità di una riflessione profetica, il sintagma di “intelligenza connettiva”, sviluppando una parte delle intuizioni del suo maestro Marshall McLuhan. Scienza e tecnica divengono plasma e sangue per nutrire il pachiderma astratto della società globale. Eppure una rete primordiale, di potenza e portata apocalittiche, si è imposta sulle nostre architetture che innervano il mondo, con sprezzante superiorità ed efficienza, attraverso il meccanismo perfetto del contagio. E questa rete ha un nome, ispirato dall’etichetta asettica della medicina: COVID-19. I suoi pacchetti dati ed i suoi agenti hanno viaggiato più velocemente di noi, bruciandoci in mobilità e velocità. Forse è un monito, perché il progetto intelligente alle origini del creato e della natura, che non ha bisogno di qualifiche e aggettivi, è intelligenza pura in atto. Forse è un invito a non sconfinare nel disumano, a restare consapevoli delle nostre responsabilità, nomadismo e mobilità esasperata compresi. Forse…

Ad oggi quali sono state per te le conseguenze immediate della diffusione del Covid-19 sul tuo lavoro e quali pensi possano essere le conseguenze a lungo termine.
Tra la fine di marzo e aprile avevo in programma alcuni appuntamenti espositivi che, per fortuna, sono stati riprogrammati, segno di volontà a collaborare da parte dei miei interlocutori: un invito alla Biennale di Light Art a Mantova, un’installazione permanente presso la GASC di Villa Clerici a Milano, un progetto con artisti americani a Brescia ed uno a L’Aia in Olanda. Tutto è slittato in autunno, salvo ulteriori aggiornamenti. Mi auguro che il desiderio collettivo di partecipare a mostre, fiere ed eventi artistici troverà presto soddisfazione. Il prossimo periodo davanti a noi potrebbe diventare un momento storico, di rinascita culturale, da raccontare alle prossime generazioni.

Davide Coltro, Verona 1967, vive e lavora a Milano. La sua ricerca utilizza le tecnologie di massa con inedite architetture che modificano i criteri di creazione, diffusione e fruizione dell’arte. Il suo Quadro Elettronico, risponde ad una visione storica e culturale attuale, sprigionando il potere evocativo del quadro tradizionale ma elevandolo ad autentico nuovo media. Negli ultimi anni ha iniziato un percorso di studi teologici, affrontando da questa prospettiva i temi fondamentali della storia dell’arte. Le sue opere fanno parte di importanti collezioni pubbliche e private: GAM – Verona, VAF Stiftung – Francoforte, Villa Panza – Varese, GAM – Seregno, Collezione Unicredit, Milano – GASC – Milano e sono esposte in molti musei tra i quali: Museum of Modern Art, Mosca – ZKM, Karlsruhe – Urban Center, Shangai – Etagi Project, San Pietroburgo – Centro Pecci, Prato – Farnesina, Roma – MART, Rovereto – MARCA, Catanzaro – Galleria Civica, Trento. Ha partecipato alla 54^ Biennale di Venezia nel Padiglione dell’Arsenale. Le sue Gallerie di riferimento sono: Gagliardi & Domke, Torino – Nuova Galleria Morone, Milano – Paolo Maria Deanesi, Trento – Liquid Art System Londra, Istanbul, Capri. www.davidecoltro.com