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Alessandra Redaelli
Alessandra Redaelli da Milano

La tua nuova ritualità quotidiana…
Sto scoprendo la lentezza. Io sono una che corre, sempre: correre mi è congeniale e mi fornisce l’adrenalina di cui ho bisogno. Oggi siamo costretti alla lentezza, e questa lentezza filtra in tutti i gesti. Anche quando si esce per acquistare il necessario, bardati, mascherati, sapendo già che ci si metterà in coda, che il tempo si spalancherà, non si cerca di colmare quella dilatazione anticipandola, ma ci si scopre a camminare più lenti, guardando in alto il cielo, le architetture di edifici che non avevamo mai osservato o magari la nuova vita che si svolge sui balconi. E poi c’è tempo per sé e per la famiglia, ci si dilunga a tavola, ci si ritrova a parlare un po’ di più.
È come se lo spazio avesse trovato una quarta dimensione da esplorare. Il paradosso è che questo tempo amplificato non si riesce a riempirlo come si vorrebbe con la creatività. Io, almeno, non riesco. Scrivo, sì. Tantissimo. È la mia terapia. Ma la mente vaga, resta costantemente intrappolata dentro percorsi spiraliformi, perde le tracce del pensiero. E tutto si sfilaccia.

Com’è cambiato il tuo modo di lavorare?
Si colmano virtualmente le distanze con gli interlocutori e poi si cerca di guardare avanti, di pensare e costruire nuovi progetti e soprattutto di pensarli già in quel nuovo alfabeto e con quelle nuove modalità che nel “dopo” che ci aspetta diventeranno la norma. È questa la scommessa, perché tutto sarà diverso.

Cosa ti manca? La tua personale esperienza dell’“assenza” e della “mancanza”.
Mi manca l’interazione. Mi manca la folla, la gente, le inaugurazioni delle mostre, il caos febbrile delle fiere, le chiacchiere, gli incontri fortuiti o lungamente preparati che sono il sale del mio lavoro. Io sono di Milano, la folla è nel mio DNA: mi manca la metropolitana stipata di gente, ebbene sì. Mi mancano le persone che sciamano in piazza del Duomo, i gruppi di ragazzi ridenti per la strada, il rumore. Trovo il silenzio di questa città, oggi, agghiacciante.

Quando tutto questo finirà: una cosa da fare e una da non fare mai più.
Certamente vale la pena di fare tesoro di quello che stiamo imparando su noi stessi, sulla nostra vita, sulle relazioni con le persone che ci circondano e sulla possibilità di dare nuove profondità al tempo: speriamo di non perdere questa opportunità. Quello che non farò mai più, personalmente, sarà posticipare qualcosa che desidero fare, illudendomi magari di trovare dopo, in un secondo momento, un’occasione più adatta per farlo. L’occasione è ora. Nel dubbio, il mio sarà un: “Sì! Subito”.

Ad oggi quali sono state per te le conseguenze immediate della diffusione del Covid-19 sul tuo lavoro e quali pensi possano essere le conseguenze a lungo termine?
Come sempre accade davanti a una grande crisi, credo che tutto il mondo dell’arte sarà costretto a ripensarsi. L’arresto brusco che stiamo vivendo per quanto riguarda le mostre, le inaugurazioni, le fiere si tradurrà probabilmente in una crudele selezione. La speranza è che sia una selezione che porti alla qualità. E a una più profonda consapevolezza – sia da parte degli addetti ai lavori che delle istituzioni – di quale immensa opportunità sia l’arte, per la cultura di un paese e per le persone che lo abitano.

Biografia: vivo a Milano, sono giornalista e questo ho fatto per anni, collaborando per Arte (Cairo editore) e avendo da quelle pagine l’occasione per conoscere artisti e addetti ai lavori con cui la collaborazione si è spesso trasformata in amicizia. A un certo punto mi sono ritrovata a occuparmi della curatela di mostre, attività che mi ha subito conquistato per la possibilità di entrare ancora più in profondità nella poetica degli artisti. Oggi lavoro su entrambi i fronti, curando eventi in gallerie e spazi pubblici e collaborando con Arte e la rivista gemella Antiquariato, con Espoarte e anche con Cronaca vera, sulle cui pagine racconto gli artisti tra genio sregolatezza. Insegno Elementi di educazione giornalistica all’Accademia Aldo Galli di Como e ho pubblicato quattro libri con Newton Compton: i saggi Keep calm e impara a capire l’arte, 2015; I segreti dell’arte moderna e contemporanea, 2016 e 10 cose da sapere sull’arte contemporanea, 2018; nel 2017 il romanzo Arte, amore e altri guai (link).
Le ultime due mostre che ho inaugurato sono state la personale di Paul Kostabi Un newyorker ai Docks, a Torino, alla galleria Casati Arte Contemporanea e la personale di Sabrina Milazzo Melting pop a Varese, da Punto sull’Arte