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Cesare Biasini Selvaggi da Roma

Quale deve essere il ruolo dell’editoria in un momento storico come quello attuale? Un magazine o una piattaforma di informazione specialistica, quali sfide può concorrere ad affrontare?
Credo che il ruolo dell’editoria, in questo momento storico segnato dal Covid-19, sia strategico nella risposta alle gravi emergenze in corso, da quella sanitaria – ancora attualissima – a quella economico/finanziaria che scandirà il nostro prossimo futuro. Un ruolo da interpretare, però, lungo le tre dorsali della coscienza, della libertà e della responsabilità dei propri operatori. All’editoria “da servizio pubblico” si è affiancata, infatti, già dai primi giorni dell’emergenza, l’editoria del sensazionalismo esasperato alimentata dalla fornace, sempre attiva, delle fake news. Con un unico risultato: disorientare e, quindi, destabilizzare ulteriormente l’opinione pubblica. Tanto che presto dalla “pandemia” si è sfociati nella cosiddetta “infodemia”, con la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, spesso non vagliate con la necessaria accuratezza.
Occorre invece, oggi più che mai, un’editoria alimentata da voci autorevoli e affidabili, che “faccia le pulci” senza pregiudizi a quel potere politico e amministrativo nella cabina di regia di decisioni dai possibili effetti epocali. Un’editoria che dia voce a coloro che si presentano forse dall’appeal poco “cool”, ma con un contributo originale e, soprattutto, un’esperienza concreta da apportare ai dibattiti in corso, esito del proprio silenzioso quanto operoso lavoro quotidiano, nelle fabbriche, nei sindacati, negli studi professionali. Un concorso di idee e di soluzioni allargato, dall’approccio olistico e meritocratico, di chi viene dalla cultura dell’esperienza e del “fare”, si rivelerà infatti l’ingrediente decisivo nella definizione delle ricette per il post-Covid. Un’opportunità senza precedenti di trasformare l’Italia in un Paese più moderno, competitivo, equo e sostenibile.
In questo ambito un magazine o una piattaforma di informazione specialistica del settore culturale può giocare un ruolo di primo piano. Il lavoro di conoscenza e di radicamento nei territori della cultura può dare, e sta dando, un contributo fondamentale al dibattito “interno” sulle proposte da mettere sul tavolo delle amministrazioni pubbliche. Per l’attuazione non solo delle indispensabili politiche urgenti di sostegno, ma anche di riforma e di rilancio, sul medio e lungo periodo, di musei, teatri, spazi no-profit, operatori dell’arte, i cui problemi sono ormai atavici, e precedenti al Coronavirus. Occorre, a mio avviso, pertanto fare informazione, veicolare riflessioni, certo, ma anche stimolare quelle necessarie “sintesi” che facilitino, al riguardo, la comunicazione con l’“esterno”, con i “non addetti ai lavori” dell’arte e della cultura, in particolare con coloro che hanno in mano le leve decisionali nel governo, nelle istituzioni, e che fino a oggi non hanno “brillato” certo per interesse nei confronti del settore culturale e, in particolare, delle arti visive. Un’operazione di sensibilizzazione che non deve comprendere, tuttavia, solo i problemi interni al sistema dell’arte, ma anche il ruolo decisivo che arte e cultura possono giocare nella risoluzione della crisi generale in atto. Perché gli artisti, come afferma anche il mio amico Filippo Riniolo, attraverso la facoltà del pensiero e della mano creano soluzioni innovative. Ma non è il nuovo per il nuovo. È il nuovo che ha senso. Direzione e senso. È il nuovo per un motivo. Perché parte dai problemi, per immaginare le soluzioni. Perché parte dalla persona. Dalla figura umana (il soggetto più rappresentato nella storia dell’arte) che è sempre, e deve esserlo, l’alfa e l’omega per cui facciamo le cose.

Come immagini il mondo, quando tutto ripartirà?
Ovviamente, mi piacerebbe dire migliore, con più equità (sociale, di genere, ecc.), più sostenibilità (a partire dall’ambiente), più meritocrazia. Molti proclamano da settimane: “Nulla sarà come prima!”. Eppure, io temo fortemente che tutto sarà come prima! Perché se è vero che la paura ammansisce, è vero anche che la ricerca del benessere immediato abbrevia la memoria su quello che è stato. Ecco perché non mi stanco di scrivere, insieme a tanti altri osservatori, che non ci occorre oggi una “ricostruzione”, piuttosto un “nuovo Rinascimento”. E non è solo una questione di brand o di etichette. Sarebbe un errore provare a ristabilire lo “status quo”, quello della cosiddetta “normalità” pre-pandemia. Perché si trattava di una normalità che forse calzava bene “all’orticello” egoistico di molti, ma che proprio non funzionava, iniqua, miope, indifferente alle questioni ambientali (a partire dal riscaldamento globale), alle sperequazioni sociali, senza una visione di Paese, di continente, di pianeta nel medio-lungo termine. Abbiamo in questo tempo presente, al contrario, la possibilità di ripartire dalle macerie causate dal Coronavirus, per liberarci da lacci e lacciuoli logori, da formule ormai stantie, per costruire finalmente un’alternativa con un’effettiva discontinuità rispetto al passato. E in questo gli artisti possono giocare un ruolo decisivo, grazie al loro innato “sguardo laterale” rispetto alla realtà contingente, alla loro capacità di riuscire a vedere avanti nel tempo e di sapere costruire una diversa visione di Paese, di bene comune e di comunità.

A oggi, quali sono state per te le conseguenze immediate della diffusione del Covid-19 sul tuo lavoro, e quali pensi possano essere le conseguenze a lungo termine?
Essendo un libero professionista che opera da giornalista e da manager di fondazioni e associazioni culturali, potrei dirti che le conseguenze immediate sono state negative, a seguito del blocco di larga parte della progettualità in corso e in programma per l’anno, legata soprattutto a progetti “in presenza”, come è necessario che sia nel campo delle arti visive. Eppure, il lavoro ha anche beneficiato non poco da questa situazione stra-ordinaria. Ho avuto molto tempo per corroborarlo con lo studio e la riflessione (prima ridotti ai margini della cosiddetta “quotidianità normale”). Ho impiegato, per esempio, i mesi di lockdown per leggere libri che tenevo in attesa impilati, per comprarne tanti altri di discipline diverse, per iscrivermi a un nuovo corso universitario. Penso che l’aggiornamento permanente e l’acquisizione di nuove competenze rappresentino un viatico ancora più necessario sia alla comprensione della complessità dei tempi che verranno, sia al riposizionamento che tutti noi dovremo compiere della nostra vita, a partire da quella professionale. Probabilmente, infatti, molti ambiti tradizionali di attività si assottiglieranno, alcuni scompariranno del tutto sotto i colpi del Covid-19. Ma sono convinto, come peraltro si è già registrato durante la fase acuta dell’emergenza sanitaria, che si apriranno contestualmente nuove praterie di opportunità professionali, anche nel settore culturale e delle arti visive, nuovi scenari “ibridi”, dall’operatività divisa tra “in presenza” e “da remoto”, tra “tempi veloci” e “tempi lenti”. Con un sano recupero della dimensione “locale” a scapito di quella “globale” che, fino a pochi mesi fa, aveva il sopravvento, con effetti a dir poco inquietanti. Ci sono frontiere davvero sfidanti per noi operatori culturali. Penso non solo alla digitalizzazione del settore, con i necessari pesi e contrappesi, ma anche alle frontiere di “cultura e salute”, del welfare culturale, dell’arte e della cultura nelle aziende, per contribuire a innovarne processi, prodotti, relazioni industriali, all’insegna della competitività sostenibile che guarda a un futuro migliore. Una prospettiva ancora possibile.

Cesare Biasini Selvaggi (Roma, 1977) è un giornalista e manager culturale. Da marzo 2017 è direttore editoriale delle testate giornalistiche exibart.com, exibart.onpaper, exibart.tv. Da settembre 2018 è Segretario generale della Fondazione Selina Azzoaglio-Innovation through Art (Ceva, Cuneo) e consulente di numerosi Enti del Terzo Settore (Fondazione OELLE-Mediterraneo antico, Catania; Sculture in Campo, Bassano in Teverina; Associazione Vittorio Messina, Marcellina, ecc.). Svolge consulenza per l’istituzione e lo sviluppo strategico di fondazioni e associazioni per tutelare l’attività di artisti e di collezionisti, e per la gestione di archivi d’artista finalizzati alla pubblicazione e all’aggiornamento di cataloghi generali. È, inoltre, specializzato in innovazione d’impresa attraverso la cultura e l’arte contemporanea. Tra gli ultimi progetti in corso di realizzazione, è impegnato nella costituzione di un Osservatorio nazionale sulla comunicazione culturale digitale del contemporaneo (musei, fondazioni, gallerie, fiere).
www.exibart.com